New Deal Europeo, tornano i grandi investimenti pubblici

Sta tornando la stagione dei grandi investimenti pubblici in Europa e in Italia. E questa è un po’ l’ultima spiaggia per cercare di far decollare quella crescita che finora è stata più evocata che vissuta. La logica di questi interventi è semplice: facciamo cose utili, creiamo lavoro, distribuiamo degli stipendi, e l’economia riparte.

Roosevelt

Gli investimenti pubblici hanno solo un difetto: bisogna vederli, bisogna constatare che lo Stato è riuscito a superare le sue stesse barriere burocratiche e ha aperto davvero i cantieri programmati. In giro per il mondo gli esempi di economie che hanno ritrovato slancio con gli investimenti pubblici sono numerosi.

I due più classici sono uno americano e uno italiano. Quello americano, voluto e imposto dal presidente democratico Franklin Delano Roosevelt (rieletto poi per altre tre volte alla massima carica) è stato chiamato “New Deal”, nuovo corso, proprio per segnare la rottura con le politiche restrittive e liberiste precedenti che avevano ridotto gli Stati Uniti a un paese di macerie, con disoccupati che dormivano sui vagoni ferroviari o sotto i ponti.

Una sola immagine può dare un’idea di quale fosse l’America che Roosevelt trova alla sua elezione: quando nel 1933 si insedia, la grande crisi del 1929 non è affatto finita, nella maggior parte degli Stati le banche sono state chiuse a tempo indeterminato per evitare fallimenti disastrosi.

Uno dei primi provvedimenti che il presidente chiede al Congresso di approvare è infatti la chiusura immediata delle banche in tutto il paese. Proposta approvata nel giro di poche ore. Quando poi le banche vengono riaperte, sono già state sottoposte al controllo federale, con regole molto severe. Sistemata l’emergenza, con l’aiuto di cinque saggi vara una serie di provvedimenti. I più famosi sono: l’abolizione del proibizionismo, l’istituzione dei Civilian Conservation Corp (i CCC) e la Tennessee Valley Authority. Con il primo provvedimento assicura maggiori entrate per lo stato e posti di lavoro alla luce del sole. I CCC sono probabilmente l’iniziativa più rivoluzionaria mai fatta da uno stato moderno: tre milioni di disoccupati assunti per occuparsi della conservazione delle risorse naturali, 30 dollari al mese di salario (con l’obbligo di mandarne una parte alle famiglie rimaste a casa), più vitto e alloggio. La TVA realizza grandi dighe nella valle del Tennessee, fornendo energia elettrica all’economia in ripresa.

Roosevelt completa il disegno del New Deal con moltissime altre iniziative. Ma ancora oggi il suo esempio viene ricordato per la storia dei CCC (disoccupati mandati a spese dello Stato a curare boschi, strade e parchi) e della TVA.

In Italia abbiamo il caso dell’Iri (che nasce giusto negli stessi anni un cui Roosevelt vara il New Deal) per recuperare da una serie di fallimenti bancari alcune imprese industriali. Ma il momento di gloria dell’Iri (venivano esperti fin dalla Svezia per studiarne il funzionamento) si ha nel dopoguerra, quando l’istituto accompagna la ripresa dell’economia italiana. Quelli sono gli anni del “miracolo” e l’Iri gioca un ruolo fondamentale: realizza tutta la rete autostradale, la rete telefonica nazionale, i cantieri, le acciaierie. I primi tempi dell’Iri sono davvero gloriosi: per ogni 10 lire investite si calcola che solo 1 venga dallo Stato, il resto dal mercato. L’Istituto di fatto costruisce l’Italia moderna.

Oggi l’Iri non esiste più (alla fine corruzione e clientelismi l’avevano ridotto a un disastro), ma ci sono altri strumenti. La sfida, comunque, è chiara: i vecchi boiardi dell’Iri impiegarono solo otto anni per costruire l’Autosole, da Milano a Napoli, gallerie e ponti compresi.

Una volta in Italia ci si muoveva a questa velocità, lo Stato interveniva così. Ne saremo ancora capaci?

Giuseppe Turani
Informazioni su Giuseppe Turani 56 Articoli
Giornalista economico e Direttore di "Uomini & Business". E' stato vice direttore de L'Espresso e di Affari e Finanza, supplemento economico de La Repubblica. Dal 1990 al 1992 è editorialista del Corriere della Sera, del mensile Capital e dei settimanali L'Europeo e Il Mondo. Ha scritto 32 libri.

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