Olio di Palma. Cerchiamo di capire se nuoce veramente alla salute

olio di palmaOlio di palma sì, olio di palma no? Da anni se ne parla e si continua a dire sempre di più sugli effetti che può comportare l’uso di quest’olio. Ultimamente, la questione è diventata ancora più mainstream, anche in seguito alla querelle scatenata dalla ministra francese dell’ecologia, Ségolène Royal, che ha invitato a non mangiare la Nutella perché contiene il famigerato ingrediente e pertanto fa male al pianeta. Su questa improvvida e disinformata uscita della ministra, si sono già espressi con una smentita due autorevoli voci: Greenpeace e il WWF, che hanno sottolineato come la Ferrero, che produce la crema di nocciole più amata del mondo, utilizzi pratiche assolutamente sostenibili per l’olio di palma.

L’olio di palma e l’olio di semi di palma sono oli vegetali saturi non idrogenati ricavati principalmente dall’Elaeis guineensis.
Ma per capire bene cosa si intende per oli vegetali saturi non idrogenati, bisogna aprire una piccola parentesi e spiegare cosa sono i grassi idrogenati: si tratta di lipidi che, per raggiungere caratteristiche chimico-fisiche utili per l’industria alimentare, subiscono una manipolazione definita idrogenazione (processo chimico utile alla saturazione di acidi grassi). Questo particolare tipo di acidi grassi è nocivo per la nostra salute, dal momento che tende ad aumentare il colesterolo cattivo, diminuendo allo stesso tempo quello buono e rendendo l’organismo più suscettibile a diverse malattie, soprattutto di tipo cardiovascolare.

Nel 2007, con 28 milioni di tonnellate di produzione globale, l’olio di palma era il secondo olio commestibile più prodotto dopo quello di soia, che attualmente potrebbe aver superato.
L’utilizzo che se ne fa è vastissimo, oltre all’uso alimentare più conosciuto, è anche componente o materia prima di molti saponi, polveri detergenti, prodotti per la cura del corpo ed ha trovato anche un nuovo e controverso utilizzo come combustibile di fonte agroenergetica.

La palma da olio è una pianta originaria della Guinea, molto longeva, che comincia a produrre i frutti dopo circa due anni e mezzo dalla semina. Dalla polpa del frutto si ricava olio di palma e dai suoi semi si ottiene il meno pregiato olio di palmisto. Entrambi sono solidi o semi-solidi a temperatura ambiente, ma con un processo di frazionamento si possono separare in componente liquida e solida.

L’olio di palmisto fonde ad una temperatura di 26°-28° gradi e se ne ricavano dei grassi particolari utilizzati nell’industria dolciaria per le glasse, la canditura e le farciture a base di cacao.
L’olio di palma è invece usato principalmente come olio alimentare, per farne margarina e come ingrediente di molti cibi lavorati, specie nell’industria alimentare. Insieme all’olio di cocco, è uno dei pochi oli vegetali con un contenuto relativamente alto di grassi saturi.

L’olio di palma viene messo sotto accusa principalmente per due ordini di argomentazioni: primo, perché nuocerebbe seriamente alla salute e secondo, perché è ottenuto mediante l’impiego di coltivazioni a forte impatto ambientale.

I grassi saturi nelle preparazioni industriali

Tentiamo però di fare un po’ di chiarezza su quello che risulta essere uno dei temi più discussi negli ultimi tempi e vediamo innanzi tutto perché ha preso piede l’utilizzo dell’olio di palma e perché si usa.

Questo olio risulta essere un’eccezione rispetto agli altri di origine vegetale. Con la sua composizione simile al burro, è infatti composto principalmente da grassi saturi e per questo si presta perfettamente alle preparazioni industriali.

E’ necessario aprire una piccola parentesi ed approfondire a proposito dei grassi saturi.

I grassi saturi sono presenti in natura sotto forma principale di trigliceridi, di origine animale e vegetale; si riscontrano nella quasi totalità della componente grassa dei tessuti animali; possono essere anche di natura vegetale, come quelli dell’olio di cocco, di palma e di semi di palma; invece gli altri oli vegetali (girasole, mais, arachidi, ecc.) sono di norma costituiti principalmente da acidi grassi insaturi.
Dal 1950 la maggioranza degli studi ha evidenziato che il consumo di alimenti che contengano elevate quantità di acidi grassi saturi quindi i grassi della carne e derivati, del latte e derivati (cioè burro e formaggi), lo strutto, ed inoltre alcuni oli vegetali (olio di cocco, di palma e di semi di palma) sia potenzialmente dannoso per la salute.

Tornando al nostro discorso ed alla perfetta adattabilità di tali oli alle preparazioni industriali, possiamo affermare che la caratteristica più vantaggiosa per l’industria alimentare è stato il prezzo nettamente inferiore rispetto ad altri oli vegetali e per questo negli anni tra 1964 ed il 1975 ne fu aumentata di circa tre volte l’importazione in America, paese dalle numerose multinazionali.

Questo è avvenuto principalmente perché l’olio di palma, oltre che costare poco per l’elevata offerta dovuta alla grande produttività delle palme e alla sua provenienza da paesi poveri come le Filippine, possiede “virtù tecnologiche” che altri oli, come per esempio quello di soia, non hanno.
Difatti, sono proprio tutti quei grassi saturi di cui si compone che fanno sì che l’olio di palma, come anche quello di cocco, si presentino allo stadio solido a temperatura ambiente ed irrancidiscano molto lentamente. In aggiunta, rispetto al burro per esempio, è del tutto insapore e garantisce una conservabilità maggiore dei prodotti.

Ma l’olio di palma nuoce alla salute?

L’utilizzo di questo olio si è intensificato a seguito di un inasprimento della normativa dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nei confronti dei grassi idrogenati, come la margarina, considerata quasi da subito nociva, che inizialmente veniva utilizzata come sostitutiva del burro. Sostanzialmente, quello che indirettamente si affermava è che esiste di peggio rispetto all’olio di palma.

Arrivando al dunque della questione e cioè se effettivamente l’olio di palma nuoccia effettivamente alla salute, la risposta è come tante volte nel mezzo, dipendendo tutto questo dalla quantità del nostro consumo.
Ad esempio, le proteine sono indispensabili per la crescita e per tante altre funzioni ma, se si eccede, si rischia di acidificare in maniera deleteria il sangue e di intossicare l’organismo per l’incapacità del rene di smaltire le scorie azotate.

Tornando alla nostra questione quindi, parliamo di grassi saturi che una volta riconosciuti, come tali vanno trattati. Per questo va limitato il consumo perseguendo un’alimentazione sana ed evitando così problemi cardiovascolari che ne potrebbero derivare.

Va sicuramente moderato e controllato il consumo come dicevamo, ma bisogna levarsi dalla testa che faccia più male ad esempio del burro: di fatto la merendina industriale contenente olio di palma può essere buona, e/o sana o cattiva, e/o “insana” esattamente quanto e come lo può essere la torta fatta in casa dalla nonna che contiene il burro.
Il punto fondamentale della questione è quindi che in entrambi i casi non bisogna esagerare né con l’una e né con l’altra.

Una soglia accettabile di consumo può aggirarsi intorno al 10% massimo sul totale delle calorie giornaliere, comprendendo grassi saturi sia di origine vegetale che animale.

In generale, va sottolineato che contro l’olio di palma non si registrano, perlomeno ad oggi, posizioni ufficiali da parte degli organi preposti a vigilare sulla nostra salute come l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, il Ministero della Salute, né l’Istituto Superiore della Sanità.

L’olio di palma e l’ambiente

Ci sono invece, e sono innegabili, effetti collaterali sull’ambiente. La coltivazione delle palme da olio, concentrata principalmente in Indonesia e Malesia, comporta un più che considerevole abbattimento delle foreste tropicali per far spazio alle nuove piantagioni.
Le conseguenze sono quasi devastanti se si pensa che comporta la distruzione di habitat di numerose specie, come ad esempio gli orango, per non parlare delle ripercussioni sull’aumento dei gas serra nell’atmosfera e lo stravolgimento dell’assetto idrogeologico del territorio.

Probabilmente le tante critiche ricevute circa i danni che quest’olio provocherebbe alla salute derivano anche da un desiderio di disincentivare le coltivazioni, dato il fortissimo impatto ambientale che ne deriva. Ma c’è da chiedersi cosa succederebbe se al posto delle palme venissero coltivate altre piante dalle quali estrarre il medesimo volume di olio prodotto con le prime.

Il problema, forse, è che si occuperebbe ancora più spazio di quello attualmente impiegato e questo perché la produttività delle palme da olio è altissima rispetto alle alternative possibili. Basti pensare che da un ettaro di palme si ottengono circa sette volte l’olio che produce un ettaro di girasoli per esempio, ma anche se lo si volesse sostituire con il burro, l’impatto ambientale sarebbe ancora più dannoso.

Venire a capo di questa vicenda e trovare delle soluzioni concrete non sarà per nulla facile, ma sicuramente sarà necessario pretendere maggiore trasparenza da parte delle aziende e dal commercio locale. Al momento l’unico piccolo passo che si è fatto è stato realizzato con l’introduzione di regole che, anche se con un certo ritardo, sono rivolte a tutelare la produzione sostenibile.

Un esempio sono le regole stabilite da Roundtable on Sustainable Palm Oil, organo tenuto a certificare l’olio che viene prodotto attraverso procedure maggiormente rispettose dell’ambiente. Probabilmente parliamo di uno strumento ancora troppo debole che potrebbe essere a rischio di strumentalizzazione, ma che al momento segna l’unico tracciato percorribile per arrivare ad individuare la strada giusta.

In conclusione, con questo speciale non si vuole essere a favore o contro l’olio di palma, per danni che può o potrebbe causare alla salute o all’ambiente, ma si vuole sottolineare che come tutte le cose che fanno parte della nostra vita, anche questa, necessita di controllo e di “testa” da parte del singolo e della collettività per non eccedere facendo e facendoci del male.

Bisogna invece impegnarsi per sensibilizzare tutti nei confronti di un mondo, un pianeta, che appartiene a tutti noi, dal quale dobbiamo attingere per la crescita e lo sviluppo di popoli, città, paesi, risorse energetiche e sostenibilità, che ci dà tanto ma che non possiamo più violentare indiscriminatamente perché da un momento all’altro, tutto questo sfruttamento senza rispetto alcuno ci tornerà contro, sarà devastante ed infatti, già ad oggi, esistono segnali evidenti di una “ribellione” della natura.

Giuseppe Danielli
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Giornalista, esperto di agro-alimentare e Direttore della testata editoriale NewsFood.com

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