“Ore 15:17 – Attacco al treno”: Clint Eastwood racconta il coraggio dell’uomo qualunque

Il cinema americano non smette di riflettere sugli Stati Uniti, sul suo ruolo nel mondo, sui suoi valori costituzionali e sui suoi principi fondativi. Da “Ore 15:17 – Attacco al treno” (“The 15:17 to Paris”), film numero 36 di Clint Eastwood, classe 1930, a “The Post”, trentunesimo titolo di Steven Spielberg, il grande schermo si confronta con l’universo a stelle e a strisce, con i suoi miti e le sue contraddizioni.

Oscar per la regia dei celebri “Gli spietati” e “Million Dollar Baby”, ma anche Premio alla memoria “Irving G. Thalberg” 1995, Eastwood firma un film che contraddice le attese di una parte del pubblico: niente thriller mozzafiato, niente epica e nessuna concessione ai meccanismi d’azione statunitensi. Con la sceneggiatura di Dorothy Biskal, tratta da un libro firmato dagli stessi protagonisti della vicenda con Jeffrey E. Stern, il film racconta la storia vera, sin dall’adolescenza travagliata, degli americani Anthony Sandler, Spencer Stone e Alek Skarlatos fino alla loro coraggiosa azione nel treno ad alta velocità Thalys 9364 Amsterdam-Parigi, il 21 agosto 2015. In quel frangente, i tre, con l’inglese Chris Norman, riuscirono a disarmare un attentatore, Ayoub El Khazzani. In più, Stone, grazie alla sua formazione da infermiere nell’esercito, riuscì prodigiosamente a bloccare con le dita la carotide ferita di un altro statunitense, Mark Mooligan, salvandogli la vita.

Nel montaggio alternato di Blu Murray, regista e sceneggiatrice dedicano pochi minuti alla situazione concitata in treno, con qualche sequenza introduttiva e poi nella fase finale del racconto per immagini, per concentrarsi sulla narrazione dell’amicizia fra i tre, nata sui banchi di scuola, delle scelte professionali (Stone e Skarlatos nelle forze armate) e, soprattutto, delle loro sconfitte e difficoltà. Spiccano le chiusure causate dall’ambiente e dagli altri, a partire dagli educatori nel contesto scolastico. Un momento di svolta è la scelta dei protagonisti di prendersi una pausa dalle fatiche del vivere con un agognato viaggio in Europa, tra l’Italia e l’Olanda.

“Ore 15:17 – Attacco al treno” si concentra dunque sul “prima” dell’evento che cambierà l’esistenza dei tre, impegnati a interpretare loro stessi e a rivivere quel momento drammatico, al pari dei personaggi minori e delle comparse nei vagoni, tutti realmente presenti, fra i 554 passeggeri, quando la loro vita fu messa in pericolo da un attentatore pieno di armi e pronto a fare una strage. Un approccio inedito, nella filmografia di Eastwood, con una prevalenza di interpreti non professionisti, mentre tra i professionisti ci sono Jenna Fischer, Judy Greer e Ray Corasani.

In particolare, alcune sequenze, quelle del viaggio in Italia e dell’incursione (con tanto di avventure sessuali) dei personaggi principali in discoteca, appaiono filmate quasi nello stile dilettantesco dei turisti, nell’epoca dei selfie e delle mode tecnologiche. Scelte funzionali a uno stile sobrio, realistico e antispettacolare, con la fotografia di Tom Stern e un uso misurato delle musiche di Christian Jacob – per un approfondimento si vedano, tra le altre, le recensioni di Alessia Cervini e Alessandro Canadè (su http://www.fatamorganaweb.unical.it), di Gianni Canova (http://welovecinema.it) e di Roberto Silvestri (https://ilciottasilvestri.blogspot.it) – che esalta i valori dell’individuo e il coraggio dell’uomo qualunque. Uomo qualunque che, nel momento in cui è chiamato a compiere delle scelte difficili, mette in gioco sé stesso e rischia la propria vita per salvare il prossimo.

Il regista di “Un mondo perfetto”, Mystic River”, “Gran Torino”, “Lettere da Iwo Jima” (citato, al pari di “Full Metal Jacket” di Kubrick, con una locandina, a sostegno dei riferimenti alle strategie di guerra che appassionano i ragazzi) e “Sully”, oltre che protagonista della trilogia del dollaro di Sergio Leone ed ex ispettore Callaghan, conferma la sua capacità di mantenersi in equilibrio tra elementi propri di una tradizione politica conservatrice e la tendenza artistica a ribaltare gli schemi nel nome della complessità della natura umana.
In “Ore 15:17 – Attacco al treno” ci si fa gioco delle strutture coercitive (la scuola cattolica, la psichiatria, le norme rigide dell’esercito) a favore della singola originalità di ogni essere umano. Tra il caso, come un fucile che s’inceppa, e la predestinazione, messi in rilievo dalla sceneggiatura, sono in primo piano tipi comuni, e nemmeno tanto dotati secondo gli schemi sociali, pronti però a fare la cosa giusta senza rientrare negli stereotipi dell’eroe.
Se da un lato il film ironizza pure sulla pretesa americana di ergersi a nazione eletta per la salvezza dei popoli (l’episodio in Germania, con la guida che smentisce i libri di storia targati Usa), in divertente contraddizione con l’esito finale della vicenda, da un’altra prospettiva si può invece rilevare che manchi qualcosa, in termini di spessore e profondità, sul piano del linguaggio filmico. Gli elementi di riflessione, disseminati sin dall’inizio, avrebbero forse avuto bisogno di un maggiore approfondimento e di una superiore componente artistica.

La struttura narrativa non favorisce il coinvolgimento dello spettatore, specie nella parte turistica, didascalica e volutamente ricca di cliché, e la scelta di tenersi lontani dagli elementi di genere, stile il recente “L’uomo sul treno – The Commuter”, avrebbe richiesto qualcosa di più da parte del regista e della sceneggiatrice. La voce fuori campo iniziale e l’epilogo con le immagini dell’incontro dei protagonisti con il presidente francese Hollande, nonostante l’interessante commistione di immagini vere e girate di nuovo nel momento del conferimento della Legione d’onore, confermano l’impressione a tratti di una certa piattezza.

Nel complesso, l’operazione è solo in parte riuscita. Rimane comunque l’abilità dell’ottantasettenne Clint (a maggio 88), qui anche produttore, nel tenersi lontano da posizioni precostituite, raccontando il difficile equilibrio fra l’individuo e il mondo, con le sue regole spesso paradossali e ingiuste.

Marco Olivieri
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Giornalista professionista e dottore di ricerca, Marco Olivieri è autore della monografia “La memoria degli altri. Il cinema di Roberto Andò” (Edizioni Kaplan 2013 e 2017), curatore del volume “Le confessioni” (Skira 2016) e, con Anna Paparcone, autore del libro “Marco Tullio Giordana. Una poetica civile in forma di cinema” (Rubbettino 2017). Collabora con «la Repubblica» – edizione di Palermo, è componente del comitato scientifico di “Carteggi letterari le edizioni” e ha scritto saggi per la casa editrice Leo S. Olschki e articoli per «Cinema e Storia» di Rubbettino, «il venerdì di Repubblica», «Ciak» e «Doppiozero». Critico cinematografico e teatrale, si occupa di Uffici Stampa, Cultura, Politica, Società e Terzo Settore.

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