Padre-padrone o eroe? La serie di Netflix rilancia la figura enigmatica di Vincenzo Muccioli

La serie del momento si chiama SanPa, la trasmette Netflix ed è diretta da Cosima Spender. Racconta la storia della comunità di recupero per tossicodipendenti fondata da Vincenzo Muccioli a San Patrignano, vicino Rimini. La docu-serie sta facendo molto discutere. Si divide in cinque episodi da cinque ore complessive che corrispondono a Nascita, Crescita, Fama, Declino e Caduta. La comunità di San Patrignano esiste ancora oggi. Tra gli anni ’80 e ’90 fu al centro di numerose polemiche.

Come era prevedibile, anche la serie sta scatenando polemiche. La stessa comunità ha preso le distanze dal prodotto. Quello di San Patrignano fu un caso mediatico, politico, sociale e resta ancora oggi uno dei più emblematici e divisivi della storia dell’Italia repubblicana.

Tutto o quasi ruota intorno alla figura di Muccioli, nato nel 1934 a Rimini. Da giovane appassionato di agricoltura e animali. Sposato nel 1962 con la coetanea Maria Antonietta Cappelli. I due hanno avuto due figli: Andra Maria e Giacomo Maria. A Coriano la coppia si trasferisce poco dopo il matrimonio, in un podere che si chiama San Patrignano.

Muccioli si dedica all’allevamento di pregiate razze canine e all’agricoltura. Con alcuni amici crea il gruppo del “Cenacolo”, dedito a parapsicologia e spiritismo. Queste le basi di quella che diventerà la più grande comunità terapeutica d’Europa.

La storia comincia negli anni ’70, quando la mafia italiana inonda le strade di droga: sprattutto eroina. La prima ospite, una ragazza trentina, arriva nel novembre 1978. Nel giro di poco SanPa diventa“qualcosa di enorme”. La cooperativa dichiara come scopo quello di fornire “assistenza gratuita ai tossicodipendenti e agli emarginati”. Dal 1985 Muccioli e familiari rinunciano parzialmente alla comunità e ai diritti ereditari intestandoli alla Fondazione San Patrignano.

Questa è una famiglia, non è una comunità terapeutica, dice Muccioli. Di lui si parla, nella serie, come di uno stregone, spiritista, ciarlatano, ma anche come un santo. Non a caso il sottotitolo di Sanpa è Luci e tenebre di San Patrignano. Due i processi che ha affrontato. Il primo, iniziato nel 1983, è detto “Processo delle catene”. Le accuse: sequestro di persona e maltrattamenti per avere incatenato alcuni giovani della comunità. Condannato in primo grado, assolto con formula piena in Appello e in Cassazione nel 1990. Il secondo processo, tenutosi nel 1994, ha portato a una condanna di otto messi per favoreggiamento (con sospensione condizionale) e a un’assoluzione dall’accusa di omicidio colposo per l’omicidio colposo di Roberto Maranzano nella comunità.

Figura carismatica e divisiva, Muccioli è stato criticato per i metodi usati all’interno della comunità. Metodi coercitivi che intervenivano soprattutto durante le crisi di astinenza degli ospiti. L’uso delle catene, per impedire a questi di scappare e di tornare a drogarsi, emerse durante i processi. Roberto Maranzano, ragazzo palermitano, morì a causa degli eccessi di un pestaggio nel porcilaio della struttura. Il suo corpo fu ritrovato in una discarica a Napoli. Gli autori materiali del pestaggio furono condannati dai 6 ai 10 anni. Successivamente vennero denunciati altri pestaggi e anche dei suicidi a SanPa. Si è usato spesso il termine “macelleria”.

Muccioli è morto il 19 settembre 1995 a 61 anni. Mai rivelata la causa della morte. Il Corriere della Sera ha scritto dell’aggravamento di un’epatite C. Mai chiariti i dubbi su un eventuale contagio da AIDS dagli ospiti della sua comunità. A succedergli alla guida il figlio Vincenzo, fino al 26 agosto 2011.

“La comunità San Patrignano si dissocia completamente dalla docu-serie messa in onda da Netflix”. Questa la reazione della comunità a SanPa: Luci e Tenebre di San Patrignano, definita versione “unilaterale”. “Il racconto che emerge – si legge in una nota – è sommario e parziale, con una narrazione che si focalizza in prevalenza sulle testimonianze di detrattori, per di più, qualcuno con trascorsi di tipo giudiziario in cause civili e penali conclusesi con sentenze favorevoli alla Comunità stessa, senza che venga evidenziata allo spettatore in modo chiaro la natura di codeste fonti”.

Come ogni storia di sofferenza che rispetti, il finale è ancora aperto e non sarà la serie a scriverlo.

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