La politica si sta interrogando in questi giorni se revocare o meno la concessione a Autostrade per l’Italia a seguito del crollo del Ponte Morandi di Genova, in cui hanno perso la vita 43 persone. Ma si può fare senza aver atteso la fine del processo in corso? Conviene farlo? Per rispondere fissiamo subito un punto di diritto: i contratti, una volta sottoscritti, vanno rispettati. Questo principio cardine del diritto civile è stato messo in discussione dal precedente Governo e buona parte anche dall’attuale.
Al netto della doverosa vicinanza ai parenti delle vittime e agli sfollati, cerchiamo di inquadrare la questione dal punto di vista giuridico e di analizzare le conseguenze economiche per i cittadini.
Cosa succede se il governo revoca la concessione
L’eventuale revoca della concessione ad Autostrade comporterebbe un risarcimento alla società che, secondo stime di fonti finanziarie è intorno ai 15-20 miliardi. La convenzione prevede che il concessionario ha diritto ad “un indennizzo/risarcimento a carico del Concedente in ogni caso di recesso, revoca, risoluzione”. L’indennizzo “sarà pari ad un importo corrispondente al valore attuale netto dei ricavi della gestione, prevedibile dalla data del provvedimento di recesso, revoca o risoluzione del rapporto, sino alla scadenza della concessione”, nel 2038.
Facciamo un passo indietro e ricostruiamo la vicenda dall’inizio.
“In relazione all’annuncio dell’avvio della procedura di revoca della concessione”, Autostrade per l’Italia si è detta poco dopo il crollo del Ponte Morandi in una nota, “fiduciosa di poter dimostrare di aver sempre correttamente adempiuto ai propri obblighi di concessionario, nell’ambito del contraddittorio previsto dalle regole contrattuali che si svolgerà nei prossimi mesi”.
”E’ una fiducia – si legge ancora – che si fonda sulle attività di monitoraggio e manutenzione svolte sulla base dei migliori standard internazionali. Peraltro non è possibile in questa fase formulare alcuna ipotesi attendibile sulle cause del crollo”. “Autostrade per l’Italia sta lavorando alacremente alla definizione del progetto di ricostruzione del viadotto, che completerebbe in cinque mesi dalla piena disponibilità delle aree. La società continuerà a collaborare con le istituzioni locali per ridurre il più possibile i disagi causati dal crollo”, conclude la nota.
Autostrade per l’Italia paga le tasse in Italia e non in Lussemburgo
L’allora Vice Premier Luigi Di Maio dichiarò che Autostrade è “controllata da una finanziaria in Lussemburgo. Nello sblocca Italia fu messo nella notte un emendamento della proroga a cinquanta anni. Giocano in borsa in tutto il mondo. Se non sono in grado di gestire le Autostrade, le gestirà lo Stato”.
La sede legale di Atlantia, la società che controlla Autostrade per l’Italia, si trova in via Antonio Nibby 20 a Roma. Autostrade per l’Italia è una società per azioni che ha sede a Roma, in via Bergamini 50. Atlantia è quotata in Borsa: il 45,46 per cento del capitale è flottante fra diversi piccoli azionisti, in maggioranza provenienti da Stati Uniti d’America e Regno Unito (poi l’Italia).
Fra gli altri azionisti ci sono il fondo sovrano di Singapore GIC, gli americani di Blackrock, i britannici di HSBC e la Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, tutti sotto il 10 per cento. Con il 30,25 per cento l’azionista di maggioranza di Atlantia è Sintonia SA che fa capo alla famiglia Benetton. Sintonia SA è una finanziaria lussemburghese controllata dalla holding Edizione della famiglia Benetton. Prima della ristrutturazione del gruppo, la società capofila era la Ragione di Gilberto Benetton & C sapa (sede a Treviso); dal 1 gennaio 2009 Edizione Holding spa e Sintonia SA sono state incorporate in Ragione sapa che si è trasformata in Edizione srl. Autostrade per l’Italia e la sua controllante Atlantia pagano quindi le tasse in Italia, dove hanno sede legale.
Le conseguenze economiche di una eventuale revoca
Oltre a dover anticipare i futuri (mancati) incassi ad Autostrade per l’Italia (tra i 15 e i 20 miliardi di euro), si pongono altri due problemi, tutt’altro che trascurabili.
Il primo è se l’Anas sarà in grado di sostenere gli investimenti per la manutenzione, il potenziamento e la messa in sicurezza della rete autostradale. Dove reperirà le risorse se non dalla fiscalità pubblica e, quindi, a carico dei cittadini?
Il secondo problema, se possibile più inquietante, è frenare la fuga degli investitori internazionali. Quale investitore punterebbe più sull’Italia se addirittura il Governo revoca una concessione pubblica senza attendere neanche gli esiti dell’inchiesta? La certezza del diritto (e dei contratti) è la conditio sine qua non di qualsiasi investimento.
Va anche considerato l’effetto a catena di una revoca. Si creerebbe un precedente pericoloso, potrebbero essere messe in discussione tutte le concessioni pubbliche (telefonia, tv …) con danni imprevedibili per i concessionari (spesso quotati in Borsa) e per i piccoli risparmiatori azionisti.
La maggioranza di quasi tutti i concessionari è in mano al mercato, quindi ai risparmiatori, in larga parte italiani.
Possibili soluzioni
Alla luce dei fatti sopra esposti probabilmente la soluzione migliore sarebbe un compromesso. Nessuna revoca ma una rinegoziazione delle condizioni della concessione con maggiori oneri di investimento a carico di Autostrade per l’italia per ammodernare e mettere in sicurezza la rete autostradale.
Una eventuale rinegoziazione non cancella le responsabilità, i costi (danni a cose e persone e oneri di ricostruzione) derivanti dal crollo del Ponte dovranno essere interamente sostenuti da chi ha sbagliato. Se la responsabilità del disastro verrà accertata (da un’inchiesta) in testa alla società del Gruppo Benetton, Autostrade per l’Italia dovrà pagare tutto, senza se e senza ma.
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