Privacy e videosorveglianza. La mancanza dell’informativa può far scattare la sanzione

L’immagine costituisce un dato personale, rilevante ai sensi dell’art. 4 del Codice della privacy, trattandosi di dato immediatamente idoneo a identificare una persona. E’ quanto emerge ulteriormente dalla controversia di recente decisa dalla Cassazione, sentenza del 2 settembre 2015 di evidente interesse generale per i gestori di attività commerciali aperte al pubblico.

videosorveglianza telecamere

Il fatto: agenti della P.S. accertavano in un esercizio aperto al pubblico la presenza di una telecamera collegata ad un monitor, sistema utilizzato dal titolare dell’attività per sorvegliare l’accesso degli avventori.

Gli agenti constatavano la mancanza del cartello previsto dal D. Lgs. n. 196 del 2003, art. 13, e di conseguenza procedevano alla contestazione dell’illecito amministrativo ex art. 161 “omessa o inidonea informativa all’interessato”.
L’azienda, con l’assistenza di un professionista, trasmetteva al Garante per la protezione dei dati personali un proprio scritto difensivo in cui chiedeva l’audizione sostenendo che l’installazione del videocitofono aveva esclusiva funzione di sicurezza negando che alcuna disposizione del Codice Privacy fosse stata violata.
Al termine dell’attività istruttoria, il Garante adottava un ordinanza-ingiunzione comminando una sanzione pecuniaria.

L’azienda presentava poi opposizione dinanzi il Tribunale di Palmi che accoglieva il ricorso.
Il giudice di merito riteneva che la videosorveglianza effettuata nell’esercizio commerciale rientrava nel concetto di “trattamento”, ma tuttavia non riteneva sussistere gli estremi della definizione di “dato personale”.

Le modalità di raccolta dei dati personali nel caso di specie non configuravano una violazione delle garanzie di protezione previste dal Codice dalla privacy in quanto limitate nel tempo e specifiche nella loro finalità, l’opposizione veniva accolta dal giudice calabrese.
L’Autorità per la protezione dei dati personali presentava ricorso in Cassazione lamentando che l’interpretazione fornita dal Tribunale sulla nozione di dato personale contrastava con la normativa del Codice, introducendo un’esimente non prevista dal legislatore.
Il ricorso dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali è stato accolto con la sentenza n. 17740 del 2 settembre 2015, in sostanza è stata confermata la sanzione a carico dell’azienda.

Rileva la Corte che il giudice di merito aveva accertato che l’attività oggetto di contestazione integrava un trattamento rilevante ai sensi dell’art. 4 del Codice Privacy.
Il Tribunale aveva considerato non rilevante che la videocamera installata non fosse destinata alla registrazione, poiché ex lege integra il trattamento anche la mera attività di raccolta di dati personali.
Ai sensi dell’4, comma 1, lett. a) costituisce “trattamento, qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l’ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, la consultazione, l’elaborazione, la modificazione, la selezione, l’estrazione, il raffronto, l’utilizzo, l’interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati, anche se non registrati in una banca di dati”.

Il Tribunale riteneva di non poter ravvisare nella ripresa delle immagini di coloro che frequentavano il locale al piano terra la consistenza di un dato personale, l’immagine di una persona non può essere definita dato personale in assenza di elementi oggettivi che ne consentano una potenziale identificazione.

Il giudice di merito di conseguenza reputava non configurarsi l’obbligo per il titolare dell’esercizio, di apporre l’informativa.

La seconda sezione civile viceversa ha ritenuto sussistere entrambi gli elementi in presenza dei quali l’art. 13, prescrive l’obbligo di informativa: il trattamento, consistente nella raccolta delle immagini delle persone che accedono nel locale e vengono riprese da una videocamera e il dato personale.
Il principio da rispettare è che l’immagine costituisce un dato personale, rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 4, comma 1, lett. b), trattandosi di dato immediatamente idoneo a identificare una persona, a prescindere dalla sua notorietà.

Ricordiamo che con un provvedimento del 29 aprile 2004 il Garante ha precisato “a differenza dei soggetti pubblici, i privati e gli enti pubblici economici possono trattare dati personali solo se vi è il consenso preventivo espresso dall’interessato, oppure uno dei presupposti di liceità previsti in alternativa al consenso ex artt. 23 e 24 Codice Privacy.”
Ergo “nel settore privato, fuori dei casi in cui sia possibile ottenere un esplicito consenso libero, espresso e documentato, vi può essere la necessità di verificare se esista un altro presupposto di liceità utilizzabile in alternativa al consenso, come indicato nel paragrafo successivo”.

Il provvedimento prevede che “un’idonea alternativa all’esplicito consenso va ravvisata nell’istituto del bilanciamento di interessi (art. 24, comma 1, lett. g, del Codice). Il presente provvedimento da attuazione a tale istituto, individuando i casi in cui la rilevazione delle immagini può avvenire senza consenso, qualora, con le modalità stabilite in questo stesso provvedimento, sia effettuata nell’intento di perseguire un legittimo interesse del titolare o di un terzo attraverso mezzi di prova o perseguendo fini di tutela di persone e beni rispetto a possibili aggressioni, furti, rapine, danneggiamenti, atti di vandalismo, o finalità di prevenzione di incendi o di sicurezza del lavoro”.

Per quanto concerne la videosorveglianza senza registrazione si stabilisce che “nei casi in cui le immagini sono unicamente visionate in tempo reale, oppure conservate solo per poche ore mediante impianti a circuito chiuso, possono essere tutelati legittimi interessi rispetto a concrete ed effettive situazioni di pericolo per la sicurezza di persone e beni, anche quando si tratta di esercizi commerciali esposti ai rischi di attività criminali in ragione della detenzione di denaro, valori o altri beni (es., gioiellerie, supermercati, filiali di banche, uffici postali)”.

Con specifico riferimento alla videosorveglianza il Provvedimento 29 aprile 2004, che “gli interessati devono essere informati che stanno per accedere o che si trovano in una zona videosorvegliata e dell’eventuale registrazione.”
Il supporto con l’informativa deve essere collocato nei luoghi ripresi o nelle immediate vicinanze, deve avere un formato ed un posizionamento tale da essere chiaramente visibile inoltre può inglobare un simbolo o una stilizzazione di esplicita e immediata comprensione, eventualmente diversificati se le immagini sono solo visionate o anche registrate.

Il titolare dell’esercizio può legittimamente procedere alla videosorveglianza del proprio locale ma tale attività integra un “trattamento di dati personali” ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 4, lett. a) e b), riguardando la “raccolta” l'”immagine” delle persone per cui deve apporre idonea informativa rivolta ai soggetti che accedono al locale ove viene installata la videocamera.

Luigi De Valeri
Informazioni su Luigi De Valeri 38 Articoli
Luigi De Valeri, nato a Roma nel 1965, ha conseguito nel 1994 il titolo di procuratore legale. Iscritto all’Albo degli Avvocati del Consiglio dell’Ordine di Roma, titolare dello Studio Legale De Valeri attivo nei settori del diritto civile, lavoro e sicurezza sul lavoro, assicurazioni e responsabilità professionale, immobiliare, diritto societario e start-up, diritto di internet e privacy, diritto dell'Arte, diritto amministrativo e diritto penale. Consulente giuridico di EBAFoS, ente bilaterale dell'artigianato per la formazione e la sicurezza sul lavoro, FIRAS-SPP federazione italiana responsabili addetti servizi prevenzione e protezione, Prison Fellowship Italia Onlus.

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