All’inizio della Seconda Guerra Mondiale gli Stati Uniti producevano oltre il 60 percento del petrolio globale. Il settore militare e l’economia del Giappone e della Germania dipendevano dalle importazioni di petrolio americano. La capacità statunitense di rifornire i propri alleati e di limitare l’accesso a questa risorsa dei giapponesi e dei tedeschi sono stati fondamentali per vincere la guerra.
Gli Stati Uniti dominavano il settore energetico. Trent’anni dopo, negli anni ’70, gli USA erano ancora il maggiore produttore mondiale di petrolio, ma la produzione stava rallentando e non erano più un fornitore globale. Le loro importazioni erano in crescita. Il dominio statunitense nel settore energetico era ormai un ricordo e l’embargo del petrolio arabo del 1973/74 fu un enorme shock per gli americani e la loro economia.
Gli Stati Uniti erano passati da una posizione di dominio energetico a una di debolezza. Da quel momento tutti i presidenti americani hanno sostenuto il concetto di “indipendenza energetica” e si sono impegnati a porre fine alla dipendenza del paese dalle importazioni provenienti da regioni instabili come il Medio Oriente. Nel corso degli anni sono stati messi in atto diversi programmi che miravano a ridurre la domanda di petrolio e ad aumentare la produzione anche di forme di energia alternative. Tuttavia la produzione interna di petrolio ha proseguito il suo declino mentre le importazioni hanno continuato a crescere fino alla metà del primo decennio del nuovo millennio.
Frattanto anche le importazioni statunitensi di gas naturale registravano una crescita sostenuta e si costruivano grandi terminali di gas naturale liquefatto (LNG) lungo le coste per procedere all’importazione di LNG dal Qatar e da altri paesi esportatori. La sicurezza energetica statunitense appariva compromessa e la crescente dipendenza dalle importazioni fece nascere l’idea di un’America in declino. Nel 2005 le importazioni coprivano oltre il 30 percento del fabbisogno energetico degli Stati Uniti, la quota più alta di sempre. La debolezza energetica era divenuta quasi impotenza. Importanti progressi tecnologici nella produzione di petrolio e gas, specialmente nel campo della fratturazione idraulica e della perforazione orizzontale, hanno portato a un’inversione di tendenza. Iniziata solo poco più di dieci anni fa, la produzione di gas naturale dai giacimenti di shale presenti tra gli altri in Texas e Pennsylvania è cresciuta, seguita poco dopo da un marcato aumento dell’offerta di petrolio proveniente da giacimenti di tight oil del Nord Dakota e del Texas. Insieme a una domanda contenuta dalle misure di efficientamento e dalle norme più restrittive circa i consumi dei veicoli, ciò ha portato a una riduzione delle importazioni statunitensi nel settore energetico facendo sperare che il Sacro Graal dell’indipendenza energetica potesse essere raggiunto.
Entra in scena Donald Trump
Perciò quando il candidato alla presidenza Donald Trump è entrato in scena nel 2015 la situazione energetica interna era molto migliorata, e con essa la posizione strategica degli Stati Uniti. I policy maker di Washington discutevano su come sfruttare la nuova abbondanza energetica per sostenere la politica estera del paese e gli obiettivi di sicurezza nazionale. Le compagnie che avevano costruito impianti per l’importazione di GNL volevano trasformarli in infrastrutture per l’esportazione del gas naturale, abbondante e a basso prezzo.
La situazione geopolitica in ambito energetico stava cambiando e i paesi che fino ad allora erano stati i maggiori esportatori verso gli Stati Uniti rivolgevano la loro attenzione verso altri mercati. La nostra influenza in campo energetico stava tornando. Il passaggio dalla vulnerabilità energetica all’abbondanza è avvenuto principalmente durante la presidenza Obama. Per quanto quest’ultimo sia conosciuto soprattutto per gli sforzi profusi contro i cambiamenti climatici, per il Clean Power Plan per la riduzione delle emissioni nel settore dell’energia elettrica, il blocco dell’oleodotto Keystone XL che avrebbe dovuto portare maggiori quantità di petrolio canadese da sabbie bituminose negli Stati Uniti e l’imposizione di norme più rigide per le emissioni di metano, Obama ha anche sostenuto lo sviluppo del settore Oil&gas interno. Ha firmato una legge per porre fine al bando sulle esportazioni di petrolio grezzo statunitense risalente agli anni ’70 e ha semplificato il processo di approvazione per le esportazioni di LNG.
Nuove aree onshore e offshore, tra cui la regione artica, sono state aperte alle trivellazioni. Il disastro della BP Deepwater Horizon nel golfo del Messico ha portato all’adozione di misure di sicurezza più stringenti, ma l’obiettivo di Obama non era la drastica riduzione dell’attività di perforazione offshore. La strategia energetica omnicomprensiva prevedeva anche un forte supporto alle energie rinnovabili. Obama ha lasciato una struttura solida a sostegno di molte forme di produzione energetica del paese, incluso il settore degli idrocarburi. Malgrado ciò, da candidato, Trump accusò Obama di bloccare la produzione interna di petrolio e di gas. Nel maggio del 2016 promise di sviluppare un piano energetico “America First” e dichiarò che il “dominio energetico” sarebbe divenuto un obiettivo strategico della politica economica ed estera del paese. Pur non spiegando cosa intendesse per dominio energetico, Trump affermò che le sue proposte di modifica delle norme vigenti e per il ritiro dall’Accordo sul clima di Parigi si prefiggevano di incrementare la produzione di combustibili fossili in modo che il paese potesse “diventare e rimanere completamente svincolato dalla necessità di importare energia dal cartello dell’OPEC o da nazioni ostili ai nostri interessi”. Mettere fine alla presunta “guerra al carbone” dell’amministrazione Obama era un elemento chiave del suo programma. Oltre a promuovere la sicurezza energetica, Trump sosteneva che il pieno sfruttamento del potenziale energetico americano avrebbe portato migliaia di miliardi di nuova ricchezza e milioni di nuovi posti di lavoro.
Ritorno a una posizione di dominio?
Dopo il primo riferimento, Trump non ha più parlato della dominanza energetica in termini programmatici fino al giugno 2017, durante la settimana dell’Energia promossa dalla sua amministrazione. In quell’occasione parlò di ulteriori passi per incrementare la produzione e le esportazioni statunitensi di combustibili fossili, aggiungendo anche la volontà di tornare a promuovere l’energia nucleare. Alti funzionari scrissero che il dominio energetico identificava “una nazione autosufficiente, sicura e indenne dalle turbolenze geopolitiche indotte dai paesi che usano l’energia come arma economica”. Ciò significava anche rafforzare la leadership e l’influenza statunitensi e condividere la nostra ricchezza energetica grazie alle esportazioni. Il programma per il dominio energetico è illustrato in modo completo nel documento sulla strategia presidenziale per la sicurezza nazionale del dicembre 2017, in cui si sottolinea “la posizione centrale dell’America nel sistema energetico globale in quanto tra i principali produttori, consumatori e innovatori” e si sostiene che gli USA “aiuteranno gli alleati e i partner a opporsi con maggiore resilienza a coloro che usano l’energia come strumento di coercizione”.
L’ordine energetico globale non avrebbe più dovuto essere imperniato sull’OPEC e sulla Russia, riportando al centro il vero leader. A questo scopo l’amministrazione Trump definiva le azioni prioritarie, tra le quali la riduzione delle barriere allo sviluppo del settore energetico, la promozione delle esportazioni, la protezione delle infrastrutture energetiche, la garanzia dell’accesso all’energia e la promozione del primato tecnologico americano. Il clima è menzionato in termini difensivi: gli USA devono mantenere una posizione di leadership sul clima per opporsi a “un programma energetico anti-crescita dannoso per gli interessi economici e di sicurezza energetica statunitensi”. Il programma per il dominio energetico è molto simile alla vecchia agenda per l’indipendenza energetica, a cui si aggiungono le esportazioni.
Un giudizio sul programma energetico
Quali risultati ha riportato l’amministrazione Trump in campo energetico? Evitando di discutere se la “dominanza” sia stata effettivamente raggiunta (qualunque cosa essa sia, non si tornerà mai al periodo precedente alla Seconda Guerra Mondiale), il presidente ha portato avanti i suoi impegni. Nuovi territori e aree offshore sono stati aperti alla produzione energetica, è in atto un processo per l’eliminazione di molte norme ambientali, la sostituzione del Clean Power Plan di Obama e l’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo sul clima di Parigi, inoltre sono stati approvati alcuni progetti per la realizzazione di infrastrutture per il settore energetico fermati dall’amministrazione Obama.
La produzione di petrolio e di gas continua a crescere. Gli Stati Uniti, che hanno sorpassato la Russia divenendo il maggiore produttore di gas naturale nel 2009, sono ora un esportatore netto di gas naturale ed entro il 2020 saranno il terzo maggiore esportatore di LNG del mondo, e potrebbero diventare il primo entro la metà del prossimo decennio. Il paese è tornato a essere il maggiore produttore mondiale di petrolio e sarà in grado di coprire ben più della metà della crescente domanda globale sia quest’anno che il prossimo, mettendo pressione sull’OPEC e sulla Russia affinché riducano la produzione per equilibrare il mercato. Molti analisti prevedono che gli USA raggiungeranno l’autosufficienza petrolifera entro i primi anni del prossimo decennio. Ciò non li renderà immuni dalla volatilità dei prezzi del petrolio, ma forse il paese sta per tornare a essere la potenza energetica dominante.
Tuttavia in che misura questa supremazia può essere attribuita all’amministrazione Trump? È difficile sostenere che i provvedimenti adottati nei suoi due anni di presidenza, ivi inclusi gli sgravi fiscali previsti dal Tax Cuts and Jobs Act del 2017, abbiano per il momento avuto un grande impatto sulla produzione energetica statunitense, sebbene ne possano avere in futuro. Molte delle misure annunciate sono state bloccate da procedimenti giudiziari, altre devono affrontare lunghe procedure prima di entrare in vigore. I tentativi di annullare le norme sui consumi dei veicoli potrebbero danneggiare il programma per il dominio energetico portando a un incremento dei consumi interni e quindi a una riduzione delle esportazioni. Gli sforzi dell’amministrazione Trump a sostegno dell’industria carboniera e nucleare non hanno finora avuto successo. Le proposte presentate dal segretario per l’Energia Perry per favorire l’energia da carbone e quella nucleare così da garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di energia elettrica sono state respinte dagli organismi di regolamentazione. I reattori nucleari e le centrali elettriche a carbone continuano a chiudere, vittime dell’abbondanza di gas naturale a basso costo e di energia solare ed eolica sempre più a buon mercato. Il consumo di carbone ha raggiunto il livello più basso dal 1979 e sta ancora diminuendo. La persistente crescita della produzione di petrolio e di gas statunitensi è dovuta principalmente a condizioni economiche e di mercato favorevoli.
Si può sostenere che le politiche perseguite dall’amministrazione Trump abbiano stimolato la crescita economica e quindi anche l’industria energetica, ma in realtà non hanno portato a grandi miglioramenti rispetto alla tendenza in atto durante la presidenza Obama. Allo stesso tempo l’agenda commerciale dell’amministrazione Trump potrebbe rappresentare un ostacolo, se non qualcosa di più, per l’economia statunitense e per quella globale, con un impatto negativo sulla rinascita energetica del paese. I dazi voluti da Trump sulle importazioni di acciaio e alluminio e il contingentamento delle importazioni vanno a tutto svantaggio del programma di dominio energetico. I dazi provocano un significativo aumento dei costi di oleodotti, terminali di LNG e altre infrastrutture dell’industria energetica. Alcuni componenti in acciaio fondamentali non sono prodotti negli Stati Uniti perciò il contingentamento delle importazioni potrebbe comportare ritardi significativi nella realizzazione dei progetti.
La minaccia dei dazi
Le esportazioni e la supremazia statunitensi in campo energetico sono minacciate a loro volta dai dazi e da altre restrizioni imposte dai partner commerciali. Con la Cina che presto sostituirà il Giappone come maggiore importatore di LNG, i contratti di lungo periodo con importatori cinesi di gas naturale e gli investimenti direttidella potenza asiatica potrebbero diventare fondamentali per l’assunzione delle decisioni finali d’investimento relative a progetti sull’LNG. La Cina può utilizzare la situazione per fare pressioni nell’ambito delle trattative commerciali con gli Stati Uniti. Le minacce di Washington contro la Cina e altri partner commerciali potrebbero favorire gli acquisti di energia statunitense, ma anche incrementare la percezione del rischio di fare affidamento sulle importazioni americane. Perciò nel lungo periodo l’impatto positivo della semplificazione degli obblighi normativi e degli sgravi fiscali sulle prospettive energetiche statunitensi potrebbe essere controbilanciato dall’incertezza politica e dei mercati dovuta alle tensioni commerciali.
Sul fronte diplomatico, il presidente Trump ha sostenuto a gran voce il dominio statunitense, dando al tempo stesso una chiara dimostrazione del perché il paese non ha raggiunto la supremazia energetica. Le sue richieste all’Arabia Saudita e all’OPEC di aumentare la produzione sembrano aver ottenuto l’effetto desiderato all’inizio dell’anno. Al tempo stesso, tuttavia, il comportamento di Trump evidenzia che gli Stati Uniti sono ancora ben lontani dall’esercitare il dominio in campo energetico e che solo i sauditi e pochi altri all’interno dell’OPEC controllano le capacità produttive inutilizzate in grado di fare rapidamente la differenza per gli equilibri del mercato e di influenzare i prezzi. Perciò sono questi paesi a detenere il vero potere nei mercati petroliferi. Il dominio rivendicato dal presidente Trump con i suoi ordini all’OPEC è più di natura geopolitica e basato su forze di varia natura, compresa quella militare, e su interessi comuni (per esempio l’opposizione all’influenza iraniana) che in grado di produrre l’effetto desiderato sulla produzione e sui prezzi del petrolio grazie alla supremazia energetica degli Stati Uniti. Se gli USA occupassero veramente una posizione di leadership non avrebbero bisogno dei sauditi e dell’OPEC.
Inoltre, il presidente Trump non controlla l’industria petrolifera e del gas statunitense, a differenza del presidente russo Putin, che può dirigere le compagnie russe, e del re saudita, che ha l’ultima parola sulle attività della compagnia petrolifera nazionale Aramco. Un rischio per il programma per il dominio energetico del presidente Trump è costituito dalla cancellazione indiscriminata delle norme per la sicurezza ambientale, e quindi anche di quelle sostenute da molte compagnie energetiche. I provvedimenti che l’amministrazione Trump sta proponendo o portando avanti per rendere meno stringenti le normative richiedono un’attenta analisi onde evitare che abbiano un impatto negativo sulla licenza sociale ad operare dell’intera industria, compromettendo così la produzione energetica. Un chiaro difetto dell’agenda presidenziale è il fatto che essa si concentri esclusivamente sull’incremento della produzione energetica interna, pur non essendo chiaro se il presidente può fare molto perché ciò accada, oltre a quello che le forze di mercato e il progresso tecnologico stanno già facendo. Rinunciare alla leadership in campi come il clima e le energie pulite minaccia di compromettere la forza energetica futura del paese. La Cina sta dominando nei settori dei pannelli solari fotovoltaici e delle turbine eoliche e punta chiaramente a controllare i mercati delle batterie e dei veicoli elettrici, mentre l’amministrazione Trump sta pensando di eliminare gli incentivi per i veicoli elettrici e le energie rinnovabili.
Gli Stati Uniti hanno forse intenzione di dipendere dalla Cina per le tecnologie energetiche fondamentali del futuro come ora dipendono dall’OPEC? Se vogliamo veramente imporre la nostra supremazia dobbiamo diventare leader anche nel campo delle energie pulite. In definitiva, in poco più di dieci anni gli Stati Uniti sono passati dal ruolo di superpotenza priva di sicurezze in campo energetico a quello di leader nel settore. Il dominio assoluto potrà forse essere oltre le nostre possibilità, ma l’energia è tornata a essere un asset strategico per il paese. Rimanere a questo livello, tuttavia, richiede una prospettiva e una visione più ampie rispetto al concentrarsi esclusivamente sulla produzione di combustibili fossili.
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