Emilio Salgari affermava che “Scrivere è viaggiare senza la seccatura dei bagagli”. E questo non è certamente il caso di Steve McCurry. Prima di tutto perché lui non scrive ma fotografa, o meglio cattura delle emozioni attraverso le immagini, e poi perché, per rendere appieno la sua arte, deve assolutamente viaggiare con al seguito bagagli, anche se ingombranti.
Si può però affermare che un viaggio , chi osserva le sue opere, lo fa attraverso le emozioni, le luci e il gioco di colori che quegli scatti evocano.
L’occasione l’ha offerta un’interessante mostra dal titolo “Senza confini” aperta fino a Febbraio 2017 nel Palazzo delle Arti di Napoli. Il progetto espositivo curato da Biba Giacchetti, infatti, propone un viaggio dall’Afghanistan all’India, dal Medio Oriente al Sudest Asiatico, ed ancora dall’Africa a Cuba, dagli Stati Uniti all’Italia e tanto altro ancora. La rassegna allestita oltre a presentare il nucleo essenziale delle sue fotografie più famose insieme ad alcuni lavori più recenti e ad altre foto non ancora pubblicate nei suoi numerosi libri, mette in particolare evidenza la sua attività di fotografo, impegnato “senza confini” nei luoghi del mondo dove si accendono i conflitti e si concentra la sofferenza di popolazioni costrette a fuggire dalle proprie terre. Il tema è purtroppo di grande attualità e Steve McCurry lo ha documentato fin dalla fine degli anni ’70.
McCurry può essere considerato uno dei più grandi maestri della fotografia contemporanea e punto di riferimento per molti, soprattutto giovani, che nelle sue fotografie riconoscono un modo di guardare il nostro tempo.
Sembra quasi di immergersi in quella immagine e per qualche secondo o minuto in quella realtà quando si osservano i suoi scatti. Piacevole è stato vedere l’afflusso di molti giovani alla mostra che, con grande attenzione anche grazie all’audio guida, si soffermavano su ogni tela per carpire appieno quella emozione. La foto più osservata è stata quella di Sharbat Bibi la ragazza del campo profughi pakistano di Peshawar fotografata da Steve McCurry per National Geographic a 12 anni e poi ritratta poi 17 anni dopo in seguito a molte ricerche effettuate. Lo sguardo magnetico è rimasto ma alla paura ed all’attesa di un futuro migliore dello scatto di adolescente si è impostato uno sguardo deluso e quasi rassegnato nell’età matura.
E nonostante l’autore ha raccontato di averla aiutata più volte, anche ad amministrare la sua famiglia, la cronaca odierna racconta che sia stata arrestata ma questa è un’altra storia. Gli scatti sono nitidi e particolari, scandiscono il tempo, in ogni tela c’è il senso dell’attesa che McCurry ha vissuto in attesa di quel gioco di luce o di quella posizione o ancora di quel passaggio. Così si possono osservare tanti luoghi, ognuno dei quali offre un ricordo o un’informazione locale attraverso la sensibilità e la valutazione personale fatta dall’autore. Un viaggio dunque pur restando fermi!
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