La parità di genere in campo economico e, in particolare, nell’ambito della retribuzione è ancora tutta da raggiungere; e anche se il principio di “parità di retribuzione per lavori di pari valore” venne introdotto nel Trattato di Roma del 1957, il divario retributivo, ovvero la distanza fra una paga ad un uomo e quella data a una donna, resiste anche se con miglioramenti del tutto marginali ottenuti solo nell’ultimo decennio.
Per contrastare questo evidente sfruttamento di metà della forza lavoro presente, il Parlamento europeo ha da sempre richiesto più azioni e decisioni che venissero prese per colmare questo gap, questa distanza.
Il dibattito a più riprese torna in Aula e l’ultima volta è il 13 gennaio scorso in Commissione plenaria, quando gli europarlamentari hanno espressamente chiesto alla Commissione di presentare una strategia per raggiungere questo obiettivo di civiltà e di giustizia.
Nell’assemblea di giovedì scorso, la risoluzione legislativa volta a includere misure per ridurre la “disparità retributiva di genere” ha ottenuto l’approvazione con 493 sì, 82 no e 79 astenuti.
Così il Parlamento europeo ha sostenuto l’impegno della nuova presidente della Commissione di rendere la “parità di retribuzione a parità di lavoro” il principio su cui realizzare la nuova strategia europea di genere che sarà presentata per la discussione il prossimo mese di marzo.
Una strategia che, stando alle richieste espresse dagli europarlamentari, deve includere sia il principio di trasparenza delle retribuzioni sia il divario retributivo tra generi. E per garantire la massima adesione a questo progetto l’Europarlamento ha chiesto che questa strategia venga adottata sia nel settore pubblico che in quello privato; chiedono anche che il “Piano d’azione per affrontare il problema del divario retributivo di genere”, dal quale ci si attendono obiettivi chiari da parte degli Stati membri per ridurre le distanza fra retribuzioni di generi diversi nei prossimi 5 anni, venga ridiscusso entro la fine di quest’anno.
Qualche dato che emerge proprio dal documento del “Piano d’azione” lascia stupiti che questo accada ancora nell’Europa negli anni 2017-2019.
“Il divario retributivo di genere è rimasto invariato. La parità di genere rappresenta uno dei valori fondamentali dell’Unione europea. Eppure sul lavoro la realtà è diversa. Nell’UE le donne, nei vari settori economici, guadagnano in media oltre il 16% in meno all’ora rispetto agli uomini. Questo divario retributivo di genere è rimasto stabile negli ultimi 5 anni.
Al ritmo di cambiamento attuale, verrà colmato solo all’inizio del prossimo millennio. La recente stagnazione solleva interrogativi sulla necessità di rafforzare e adattare le iniziative esistenti: le disuguaglianze di genere nel mercato del lavoro sono state contenute, ma non eliminate” – si legge nel Piano d’azione per il triennio 2017-2019. “… una segregazione diffusa sul mercato del lavoro.
I settori e le professioni sono segregati: la maggior parte dei lavoratori europei ha colleghi principalmente dello stesso sesso e i settori in cui le donne sono raggruppate vengono spesso retribuiti in misura minore rispetto a quelli in cui vengono raggruppati gli uomini. Sebbene diverse iniziative siano riuscite a incoraggiare le donne a entrare in settori dominati dalla presenza maschile, come quello delle scienze e della tecnologia, il livello di segregazione nel lavoro e nei settori economici è cambiato nel complesso molto poco. Inoltre, in quasi tutti i settori gli uomini sono più spesso promossi a ruoli di supervisione o di direzione, raggiungendo posizioni di vertice, mentre meno del 5% dei CEO è donna. Questa segregazione “verticale” spiega una parte significativa del divario retributivo di genere”.
Stando ai dati in mano alla Commissione, è noto che il divario retributivo tra i sessi nel territorio europeo in termini di retribuzione oraria è del 16%, pur essendo diverso notevolmente fra Stati diversi, mentre il divario esistente tra i sessi per quanto riguarda il reddito pensionistico è pari al 37%.
Ma guardiamo alcuni dati più nel dettaglio tra quelli ai quali si è riferita la Commissione e vediamo di capire come si calcola questo divario retributivo di genere.
Anzitutto il divario o “differenziale retributivo” di genere è la differenza tra i compensi orari lordi di uomini e donne. Si calcola sugli stipendi versati direttamente ai dipendenti prima delle detrazioni fiscali e dei contributi previdenziali. Nei calcoli si considerano solo le aziende con 10 o più dipendenti.
In Europa, il divario retributivo di genere è definito ufficialmente come “differenziale retributivo di genere non rettificato”, poiché non considera tutti i fattori che lo influenzano, come le differenze di istruzione, l’esperienza sul mercato del lavoro, le ore lavorate, il tipo di lavoro, tanto per citare le voci principali. Da tutto ciò risulta che in tutta Europa le donne guadagnano meno degli uomini.
Ma anche la categoria femminile è trattata diversamente al suo interno come mostra il divario retributivo di genere. Si registra che, stando ai dati raccolti nel 2017, la percentuale maggiore è in Estonia con il 25,6%, seguita dalla Repubblica Ceca con il 21,1%, la Germania con il 21%, il Regno Unito con il 20,8%, Austria (19,9%) e Slovacchia (19,8%). Le percentuali più basse sono in Slovenia con l’8%, la Polonia con il 7,2%, il Belgio con il 6%, Italia e Lussemburgo entrambi con il 5% e Romania con il 3,5%.
Nonostante la parità retributiva sia definita e disciplinata da una direttiva UE, il Parlamento europeo ne ha più volte chiesto una revisione con l’aggiunta di ulteriori misure.
La presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha annunciato ora che la sua Commissione lavorerà su una nuova strategia europea per l’uguaglianza di genere e su misure vincolanti per la trasparenza retributiva.
Ma qual è il motivo di questa disparità retributiva di genere?
La decodificazione dei numeri e delle percentuali rilevate non è facile. Per esempio, un minore divario retributivo di genere in un Paese non definisce necessariamente una maggiore uguaglianza di genere.
In alcuni Paesi membri, divari retributivi bassi possono essere collegati a una minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Di contro, differenze maggiori possono essere collegate ad un’alta percentuale di donne che svolgono un lavoro part-time o alla concentrazione di presenza femminile in un numero ristretto di professioni.
E quanto lavorano le donne?
La media che risulta dalle indagini svolte mostra che le donne lavorano più ore in attività non retribuite, quelle socio assistenziali in ambito domestico, cure parentali e assistenza ai piccoli e agli anziani, come pure nei lavori domestici, al contrario degli uomini che svolgono più ore di lavoro retribuito, e solo l’8,7% dei maschi nella UE lavora part-time al contrario delle donne che arrivano al 31,3%.
Le donne quindi non solo guadagnano meno all’ora, ma svolgono anche meno ore di lavoro retribuito. Sono in numero inferiore le donne impiegate nella forza lavoro rispetto agli uomini.
L’insieme di tutte queste caratteristiche porta a creare il divario retributivo di genere che nel 2014 era quasi del 40% tra uomini e donne.
Le donne sono inoltre più propense ad avere interruzioni di carriera e a prendere decisioni professionali basate sulla cura e le responsabilità familiari.
Circa il 30% del divario retributivo totale di genere può essere determinato dalla rappresentanza femminile in settori a basso salario come l’assistenza, le vendite o l’istruzione. Vi sono ancora posti di lavoro nella scienza, nella tecnologia e nella ingegneria dove gli uomini sono in percentuale impiegati molto di più delle donne e pari all’80%.
Le donne ricoprono anche meno posizioni apicali e dirigenziali e meno del 6,9% degli AD delle principali aziende sono donne. Inoltre secondo Eurostat le donne manager sono le più svantaggiate: guadagnano il 23% meno all’ora rispetto agli uomini manager.
Una discriminazione continua sul luogo di lavoro che ricade poi in una retribuzione minore dei maschi che lavorano nelle stesse categorie professionali e sono le prime a subire retrocessioni al ritorno dal congedo di maternità.
Le indicazioni del Parlamento Europeo
Per andare alla fonte di questo divario retributivo legato al genere e affrontarne alla radice le cause, il Parlamento europeo ha ribadito come sia necessario per gli Stati membri investire nell’istruzione e nei servizi di assistenza alla prima infanzia, oltre che nelle modalità di lavoro che siano a misura di famiglia, garantendo in questo modo alle donne una partecipazione al mercato del lavoro equa e socialmente utile a tutti.
Considerando che il divario retributivo di genere è più del doppio per i pensionati, i deputati chiedono anche la predisposizione di adeguamenti per le donne più anziane come crediti per i periodi di cura, pensioni minime adeguate e prestazioni di reversibilità.
Infine è emerso dagli interventi degli europarlamentari che l’apprendimento continuo e la formazione professionale dovrebbero essere realizzate in modo tale da poter garantire alle donne l’accesso a occupazione e opportunità di alta qualità.
In particolare, i deputati chiedono una maggiore promozione delle materie imprenditoriali, scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche (STEM) e dell’educazione digitale per le ragazze fin dalla più giovane età, per contrastare stereotipi educativi e garantire loro l’accesso a settori in via di sviluppo e ben remunerati.
La situazione dell’Italia
Nel 2017 secondo i dati Eurostat l’Italia risulta al 103° posto in classifica mondiale nel Rapporto fra reddito medio donne e reddito medio uomini con 50.682 dollari pro capite per i maschi e 26.273 dollari per le femmine. Nella classifica del divario di genere l’Italia è all’82° posto fra 144 nazioni e 118° nella classifica delle disparità economiche.
Il quadro della situazione peggiora ulteriormente nella classifica relativa alla parità salariale per lo stesso lavoro svolto dai due sessi: l’Italia in questa classifica è al 126° posto sempre su 144 Paesi.
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