Ha destato non poco scalpore nelle scorse settimane l’affair Cambridge Analytica e la conseguente psicosi, irrazionale ma più che giustificata, sull’uso che i social media, e Facebook in particolare, fanno della nostra privacy.
La levata di scudi contro la diffusione poco chiara delle analisi relative alle nostre preferenze, in ogni campo, è stata pressoché unanime, accompagnata dal coro invocante all’abbandono di Facebook in massa. Funzionerà? Difficile che accada.
Ai social non possiamo proprio più rinunciare. Siamo, e rimaniamo, animali sociali, anche quando, come oggi, alle piazze e ai luoghi veri, dove interagire guardandosi negli occhi, preferiamo le piazze virtuali, dove confrontarsi in maniera anche accesa, al sicuro dietro lo schermo di un computer o di uno smartphone. Pensare che dopo anni di dipendenza da social, capaci di riempire la noia infinita della quotidianità, si possa in un colpo dire basta, e per sempre, è pura e semplice utopia.
Certo, il nodo privacy rimane centrale e scottante, ma andrebbe affrontato con un minimo di lucidità, e di spirito autocritico. Il fatto è che la privacy, che la cosa ci piaccia o meno e che ne siamo più o meno consapevoli, non esiste più, e siamo stati noi tutti, per primi, a sacrificarla in nome della visibilità digitale e della dipendenza da likes.
Oggi tutto quel che si fa, ogni esperienza e ogni occasione, diventano motivo per postare all’infinito, senza sosta, senza nemmeno ragionare. Si condivide qualsiasi cosa con chiunque, che poi più che condividere si esibisce, in maniera tutto sommato sconsiderata: taggando luoghi e persone, geolocalizzandosi e via discorrendo. Diffondiamo una quantità immensa di dati, immemori del nostro pubblico di amici, ma anche di guardoni, invidiosi e spioni: i ristoranti in cui mangiamo, i negozi in cui facciamo shopping ma anche il bagno di casa nostra o dell’autogrill, per l’immancabile bathroom selfie. Diamo via tutto, nel minimo dettaglio, facendo sapere davvero troppo delle nostre vite.
È il narcisismo che ha cancellato per sempre la privacy e ce ne dobbiamo fare una ragione. Che poi le politiche di acquisizione dei dati di Facebook & co. vada rivista è fuor di questione.
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