Una gestione politica e istituzionale efficace e inclusiva, e una maggiore visibilità nel dibattito internazionale, diventa sempre di più un fattore fondamentale per le immense sfide poste dal riscaldamento globale.
Aumentare la superficie di boschi e foreste per salvare il pianeta dai disastri annunciati del cambiamento climatico? Si tratta certamente di un’opzione importante per ridurre la crescita delle emissioni di CO2, da affiancare alle “tradizionali” politiche di mitigazione e adattamento agli effetti del surriscaldamento globale, e potenzialmente – al termine di un processo pluridecennale – portare in negativo il livello di gas a effetto serra presenti nell’atmosfera.
Sebbene il cosiddetto settore LULUCF (Land Use, Land Use Change and Forestry) riceva attenzioni e sia oggetto di iniziative su scala globale e regionale – in particolare in seno alle Nazioni Unite e all’Unione europea – molto spesso il suo potenziale viene sottostimato, relegando i temi della forestazione a discussioni perimetrali e di nicchia. Una governance del settore efficace e inclusiva, e una maggiore visibilità per questi temi nel dibattito internazionale, diventa sempre di più un fattore fondamentale per le immense sfide poste dal cambiamento climatico.
Un potenziale immenso
La cattiva gestione delle aree forestali – circa l’11 percento delle emissioni di gas serra sono causate dalla distruzione di foreste tropicali – non è soltanto una delle maggiori cause del cambiamento climatico. Attualmente il settore LULUCF è anche (e soprattutto) tra quelli a più ampio potenziale per le attività di sequestro di CO2 dall’atmosfera. Sulla base dei dati forniti dall’UNFCC, la vegetazione forestale globale garantisce lo stoccaggio di ingenti quantitativi di carbonio: 260 miliardi di tonnellate nella sua biomassa, 37 miliardi nel legname secco e 189 miliardi nella parte superficiale del terreno e nell’humus. Secondo le stime, il totale del carbonio stoccato negli ecosistemi forestali e boschivi globali ammontava a circa 485 miliardi di tonnellate nel 2015, una quantità che va ben oltre i 412 miliardi di CO2 attualmente presenti in atmosfera, ma in sostanziale contrazione rispetto ai 685 miliardi di tonnellate registrati nel 2005. Una contrazione che, ovviamente, ha la sua principale origine nell’attività antropica nei contesti forestali.
L’azione dell’uomo ha, infatti, un impatto significativo nel ridurre la capacità di questi ecosistemi di sequestrare e stoccare emissioni di gas a effetto serra su scala globale. Deforestazione, uso intensivo delle risorse boschive, degrado ambientale non solo limitano il potenziale di cattura e stoccaggio di CO2 di queste aree, ma contribuiscono al tempo stesso a “liberare” – incrementandone i livelli di concentrazione – sostanze clima-alteranti nell’atmosfera. In particolare, sebbene i tassi di deforestazione siano rallentati rispetto al passato – da 7,3 milioni di ettari nel 2000 a 3,3 milioni nel 2015 – la progressiva conversione di aree forestali in terreni agricoli per soddisfare la continua crescita demografica e la relativa domanda alimentare rappresentano una seria sfida all’equilibrio dell’ecosistema. In questo contesto, le tradizionali politiche di mitigazione del cambiamento climatico – incentrate soprattutto sulla penetrazione delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica – non possono non essere affiancate e integrate da crescenti sforzi globali nei confronti delle aree forestali e boschive. A partire dalla gestione sostenibile e responsabile di queste aree, alle politiche di ripopolamento e di migliore gestione e tutela degli ecosistemi considerati a rischio, per arrivare alla lotta al degrado e a una più attenta gestione dei processi agricoli, le opzioni per un’ambiziosa azione sul campo sono molteplici, e con un impatto potenzialmente immenso sui livelli di concentrazione di gas a effetto serra nell’atmosfera.
Nonostante la sua grande rilevanza e il suo notevole potenziale, la tematica rimane spesso marginale quando si affrontano i temi della decarbonizzazione e del cambiamento climatico su scala globale. Vi sono infatti una serie di istituzioni, soprattutto in seno alle Nazioni Unite (alle quali si aggiungono recenti iniziative dell’UE), che si sono tradizionalmente occupate di definire un approccio di policy globale sui temi della forestazione/deforestazione, e che tuttora giocano un ruolo chiave nella definizione dell’agenda e dell’azione della comunità internazionale.
Assenza dai consessi globali
Ma l’attenzione nei confronti del tema si limita spesso ad aspetti tecnici e a dichiarazioni e obiettivi non vincolanti. Il Forum delle Nazioni Unite sulle Foreste (UNFF), un processo intergovernativo creato nel 2000 con l’obiettivo specifico di promuovere la gestione, la conservazione e lo sviluppo sostenibile delle foreste, rappresenta certamente il principale consesso istituzionale dove i governi possono avanzare un dialogo multilaterale sulle politiche forestali, facilitato dal Panel Intergovernativo sulle Foreste (IPF) e dal Forum Intergovernativo sulle Foreste (IFF). L’UNFF ha anche stabilito – con approvazione da parte dell’Assemblea Generale nel 2007 – lo “United Nations Forest Instrument”, strumento non vincolante pensato per rafforzare l’azione politica e la cooperazione al fine di migliorare la gestione delle foreste e la capacità della comunità internazionale di raggiungere gli obiettivi globali sulle foreste, inclusi quelli relativi allo sviluppo sostenibile. Alle attività e alle iniziative condotte nell’ambito dell’UNFF si aggiunge l’azione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) che, alla luce del contributo delle attività agricole ai processi di deforestazione (circa l’80 percento del totale), ha sviluppato internamente un portfolio e una significativa expertise sul tema delle foreste.
Il Dipartimento che lavora su questi temi – oltre a un costante monitoraggio sullo status delle foreste attraverso pubblicazioni e attività di disseminazione – si concentra principalmente su attività di capacity building nei paesi in via di sviluppo. La FAO contribuisce in modo attivo anche all’iniziativa Reducing Emissions from Deforestation and forest Degradation plus (REDD+), sviluppato dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) per sostenere i paesi in via di sviluppo nella riduzione delle emissioni di gas serra dovute alla deforestazione.
Grazie alla Collaborative Partnership on Forests (CPF), la FAO e altre 14 organizzazioni internazionali che si occupano di foreste hanno stabilito una innovativa partnership orizzontale che permettere di mettere a fattore comune e allineare rispettivi expertise e strumenti con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo sostenibile delle aree forestali e boschive, e di rafforzare gli impegni politici di lungo periodo su questi temi. L’assenza di una forte visione politica è testimoniata dal fatto che la stessa Unione europea, leader globale della tutela ambientale e della lotta ai cambiamenti climatici, ha sinora sviluppato un approccio al ribasso in materia di gestione sostenibile e virtuosa delle aree forestali.
Fino al 2020, l’obiettivo di carbonizzazione fissato in seno all’UE – riduzione del 20 percento delle emissioni di CO2 rispetto al 2005 – non tiene nemmeno conto del settore LULUCF né per quanto riguarda il conteggio delle emissioni né per il potenziale di assorbimento della CO2 da parte delle aree forestali e boschive. È solo a partire dalla discussione del quadro europeo su energia e clima per il 2030 che la tematica è stata affrontata in modo strutturato, con la creazione in seno all’Unione di un meccanismo che prevede – per il periodo 2021-2030 – la compensazione delle emissioni a effetto serra provenienti dal settore LULUCF tramite un equivalente livello di assorbimenti della CO2 dall’atmosfera. Si tratta di un meccanismo che fornisce agli Stati membri un quadro per incentivare un uso del suolo più rispettoso del clima, senza imporre nuove restrizioni o oneri burocratici ai singoli operatori.
In cerca di visibilità e governance internazionale
L’approccio ancora fortemente tecnico e non-vincolante sviluppato in seno alle organizzazioni del ‘sistema Nazioni Unite’, la soltanto recente azione dell’Unione europea in materia, e l’assenza di un significativo dibattito tra i grandi emettitori globali, mostrano la necessità di portare l’importanza del settore LULUCF agli occhi della comunità internazionale. I lavori preparatori alla COP21 di Parigi, con la definizione da parte degli Stati partecipanti dei rispettivi Intended nationally determined contributions (INDCs), hanno rappresentato – con tutti i limiti del caso – un primo importante passaggio per la presa di coscienza collettiva del contributo del settore alla lotta al cambiamento climatico.
Nella definizione dei loro target di decarbonizzazione i governi erano infatti liberi di decidere se e come includere il settore LULUCF nei loro conteggi e, a parte alcune eccezioni (Egitto, Corea del Sud, Bielorussia), quasi tutti hanno incluso dei parametri relativi all’utilizzo del suolo e delle foreste nei loro indici nazionali. Sebbene spesso il livello di dettaglio fornito dai differenti paesi (soprattutto in materia di contabilizzazione) renda effettivamente difficile una valutazione oggettiva dell’impatto degli sforzi assunti nel settore LULUCF sulla lotta al cambiamento climatico, la loro inclusione nei meccanismi di governance previsti dall’accordo di Parigi lascia certamente sperare in una maggiore attenzione nei confronti della tematica per il futuro. Attenzione che è mancata del tutto in quelli che sono i due principali forum politici su scala globale, il G7, e soprattutto il G20.
Il dibattito sui temi della forestazione/deforestazione e sulla gestione sostenibile delle aree forestali e boschivo all’interno dei due gruppi è stato praticamente assente fino all’inizio del 2019, in modo abbastanza ingiustificato in particolare nel caso del G20. Tra le ‘grandi’ venti potenze internazionali figurano infatti paesi come il Brasile, l’Indonesia, la Russia e il Messico, che sono anche tra i paesi più colpiti da pratiche di deforestazione massiva e dall’utilizzo insostenibile di aree forestali. Alla luce di questi dati, e della dimensione e degli impatti globali legati ai processi di deforestazione, sarebbe quindi opportuno e legittimo aspettarsi una maggiore attenzione e un ruolo più propositivo da parte del gruppo su queste tematiche. Soltanto di fronte alla catastrofe in atto nella foresta amazzonica e all’ondata mediatica che essa ha prodotto sull’opinione pubblica internazionale, il G7 (e con minor enfasi il G20) si sono lanciati per la prima volta con forza – almeno a livello declaratorio – sulla questione della gestione e dello sfruttamento delle aree forestali come elemento di interesse globale. La dichiarazione adottata dal G7 Ambiente di Metz sulla necessità di “fermare la deforestazione grazie anche ad una catena del valore sostenibile per le commodities alimentari” e l’attenzione posta dal vertice di Biarritz di agosto 2019 sullo stato della foresta amazzonica, durante il quale i paesi del G7 hanno stanziato un pacchetto di aiuti (rigettati in modo bizzarro dal presidente brasiliano Jair Bolsonaro) per far fronte ai devastanti incendi nell’area, rappresentano probabilmente i primi passi verso una più discussione più strutturata su questi temi all’interno della comunità internazionale.
L’assenza di una leadership forte globale
I passi da fare rimangono tuttavia numerosi, e gli ostacoli da affrontare ancora notevoli. L’assenza di un dibattito serio all’interno delle due grandi potenze globali come Stati Uniti e Cina, interessi contrastanti in player internazionali come la Russia e il Brasile, e l’azione troppo solitaria (e ancora troppo timida) dell’Unione europea, spesso abbandonata su temi di questo tipo dai suoi interlocutori, sono elementi che attualmente frenano una risposta univoca e un approccio compatto nei confronti della questione. Nella speranza che G7 e G20 si mettano in moto con convinzione e ambizione, l’assenza di una leadership forte su scala globale impone di provare a superare questi ostacoli grazie a una governance internazionale basata su geometrie variabili e sull’interazione di diversi attori, interessi e poteri. Una governance che prenda le mosse dalle iniziative avviate all’interno del ‘sistema Nazioni Unite’ e faccia leva sull’azione dell’Unione europea, e che sappia mettere a fattore comune le priorità e le peculiarità di una serie di attori tra cui il settore privato, le città e le comunità locali.
Non si tratta certamente di un processo facile, ma la magnitudo della minaccia climatica e il potenziale contributo del settore LULUCF alla lotta ai cambiamenti in atto, impongono sforzi finora senza precedenti in questa direzione.