In un periodo di crisi e recessione, come quello che il nostro Paese sta attraversando, la parola “risorse” ricorre ovunque. Quotidiani, media, aule parlamentari, congegni ed eventi la declinano con alcune specificazioni: risorse economiche, risorse finanziarie, risorse produttive, e così via. Io scelgo di condividere con voi alcune riflessioni su quella che si specifica in “Risorse Umane” che, a mio avviso, assume una rilevanza non indifferente nel mix delle soluzioni salvifiche.
Rispetto a cinquant’anni fa le persone hanno sicuramente scalato diverse posizioni nella graduatoria dei fattori che cooperano alla vita e al successo di un’azienda, ma la loro collocazione non è ancora quella consona a produrre gli output più performanti. Tutto questo perché la “risorsa umana” è a sua volta un insieme di molteplici risorse – fisiche, intellettive, emotive, organizzative, etc. – e non si è dimostrato agevole potere identificare modelli tali che le potessero combinare tutte e nel migliore dei modi.
Qual è oggi l’Azienda che possa ragionevolmente sostenere di avere le persone giuste per il proprio business? Come riconoscere le persone che sono davvero risorse per l’azienda da quelle che non lo sono? E ancora, come essere capaci di riconoscere di necessitare di nuove persone, non solo perché alcune se ne vanno o perché si apre un nuovo business/servizio, ma perché mancano in quel frangente quelle che abbiano il valore effettivo di “risorsa”?
Questi interrogativi sono quelli cui il dipartimento Risorse Umane di un’azienda dovrebbe dedicare la maggior parte del suo tempo, attraverso un approccio pragmatico e la progettazione e affinamento di modelli realmente applicabili e incardinati su indicatori e benchmark: la via è quella della sperimentazione e dell’aggiustamento per passi successivi. I manager delle risorse umane hanno un’enorme responsabilità perché da loro dipende la quantità e qualità di risorse di cui può disporre un’azienda: è finita l’era dei notai, dei puri esecutori di direttive, dei giocatori di scacchi. A loro è affidata la leva più importante e ne devono rispondere; devono essere solidi e assertivi nei confronti del top management e presidiare con sicurezza sia gli aspetti strategici sia quelli operativi.
I direttori del personale devono essere capaci di costruire organizzazioni in grado di avere, in modo dinamico, il più elevato coefficiente di risposta alla domanda di “risorse umane”: è questa la sfida nell’immediato e sicuramente una delle ricette per rispondere alla crisi e alla recessione.
Devono anche essere diretti e brutali, prima con se stessi e poi con il management, nel dichiarare che una risorsa non impiegata è uno “spreco”, che non avere la risorsa giusta è “una diminuzione di produttività e di ricavo”, che la cura in una crisi non è solo quella di tagliare le persone ma di separare quelle che sono risorse da quelle che non lo sono più e ancora di assumere quelle che possono assicurare il rilancio.
La strada non è agevole e comoda, ma è tempo di passare dalle belle trattazioni convegnistiche e accademiche in cui le Risorse Umane sono risorse “di nome” a un concreto e paziente lavoro che le faccia passare a risorse “di fatto”.
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