Che ci piaccia o meno, i social network sono ormai diventati parte integrante, a volte addirittura preponderante, del nostro orizzonte quotidiano. Alzi la mano chi, per prima cosa al mattino, ancora acciaccato e assonnato, non prende in mano lo smartphone per controllare quanti like si sono accumulati sull’ultimo post di Instagram, quanti re-tweet ha avuto l’ultima uscita su Twitter, quanti commenti sono fioriti intorno all’ultimo aggiornamento di status su Facebook.
Durante la giornata, naturalmente, l’escalation social diventa incontenibile, perché condivisa. Ecco allora le tavolate di commensali ciascuno con lo sguardo fisso sul telefonino per scattare una foto perfetta alla pietanza appena servita, oppure incontri al caffè che diventano solitudini accumulate, ciascuno preso a conversare in chat con chi invece presente non è. Non posiamo proprio farne a meno: si tratta di una dipendenza bella e buona, che per inciso ha anche mandato per aria ogni parvenza di cordialità e buona creanza.
Ma c’é un modo di tornare indietro? Si direbbe di sì. Fenomeno singolare è infatti la fuga dai social delle ultime generazioni, ovvero quei nativi digitali per i quali la socialità digitale dovrebbe essere, almeno sulla carta, l’unico orizzonte possibile. E invece no: i giovanissimi fanno marcia indietro per riscoprire forme di condivisione meno plateali e, soprattutto, meno controllabili. Perché il problema principale è esattamente quest’ultimo: i social network sono un infernale strumento di controllo e sorveglianza. Tra manie di esibizionismo e geolocalizzazioni, si consente in pratica a tutti, ma proprio a tutti, di sapere quel che si fa, rinunciando alla sacrosanta privacy per il gusto frivolo, ma alla lunga dannoso, dell’apparire. Il che, naturalmente, ai giovani non va più bene: cambiano le stagioni e gli strumenti, ma la ribellione è parte stessa della crescita, e di consentire a mamma e papà di ficcare il naso in ogni affare c’è poca voglia. Da qui la fuga. Ad esibirsi sui social, invece, siamo riamasti a quanto pare solo noi adulti, forse convinti di ritrovare così la perduta giovinezza. C’é da riflettere.
Be the first to comment