Le spese per le sponsorizzazioni sono destinate ad un brusco ridimensionamento con la crisi in atto? A parte questo timore, dal 5 marzo scorso possiamo dire che piove sul bagnato.
Con la recentissima ordinanza n. 3433 pubblicata il 5 marzo 2012, la Cassazione ha precisato che le spese per sponsorizzare un evento sportivo non rientrano nelle spese di pubblicità interamente deducibili dal reddito, ma vanno inserite tra le spese di rappresentanza qualora non sia dimostrato dal contribuente un incremento delle vendite dei prodotti collegato alla sponsorizzazione.
Una decisione che pone serie problematiche agli operatori del settore, sia alle aziende-sponsor che società sportive e atleti sponsorizzati, che potrebbero veder ridotti le entrate derivanti da questi contratti.
E la sopravvivenza di molti club dilettantistici è fondata su questi introiti.
Nel caso in questione, una azienda del settore dell’impiantistica per imballaggi aveva sponsorizzato l’attività di un pilota professionista, apponendo una scritta sulla autovettura da corsa, e aveva poi detratto le relative spese qualificandole come pubblicitarie.
L’Agenzia delle Entrate aveva rettificato la dichiarazione del contribuente, accertando un maggior reddito rilevante ai fini IVA, IRAP e IRES; tuttavia, l’azienda che aveva impugnato gli accertamenti era risultata vincitrice, usando un termine atecnico mutuato dallo sport, nei primi due gradi di giudizio.
I giudici della Cassazione, sezione tributaria, ribaltando le precedenti decisioni, hanno accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, applicando l’art. 108 del T.U.I.R. alle sponsorizzazioni sportive “essendo, in tutto e per tutto, equiparate alle spese di rappresentanza in quanto effettuate senza che vi sia una diretta aspettativa di ritorno commerciale … idonee al più ad accrescere il prestigio dell’impresa.”
I giudici hanno argomentato sostenendo che tra le spese di rappresentanza devono inquadrarsi quelle volte ad accrescere il prestigio e l’immagine dell’impresa e a potenziare le possibilità di sviluppo, mentre devono qualificarsi come spese pubblicitarie o di propaganda quelle erogate per iniziative tendenti prevalentemente alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi.
Quando non vi è aspettativa di ritorno commerciale, gli esborsi rientrano nelle spese di rappresentanza, mentre, viceversa, quelle sostenute per conseguire un incremento più o meno immediato delle vendite vanno inquadrati nelle spese di pubblicità. Il criterio di differenziazione andrebbe individuato nella diversità strategica della spesa, per cui, da una parte, vi è la crescita dell’immagine e lo sviluppo della società, spese di rappresentanza, dall’altra, spese di pubblicità, il diretto incremento commerciale e promozionale concernente la produzione in un determinato settore.
Le spese di sponsorizzazione se idonee ad accrescere il prestigio aziendale ma non ad incrementare le vendite dovranno includersi nelle spese di rappresentanza deducibili nei limiti previsti dal D.P.R. 917/1986, art. 74 comma 2.
Il contribuente, che come detto operava nel settore dell’impiantistica per imballaggi, non aveva addotto aspettative di ritorno commerciale dalla sponsorizzazione dell’autovettura da corsa, né quale poteva essere la concreta finalità di incremento commerciale per la sua particolare produzione nel contesto dell’automobilismo.
La società, per andare sul concreto, in conseguenza della decisione in commento, a causa della ridotta deducibilità delle spese di rappresentanza, oltre al dover versare le sanzioni previste negli accertamenti, ha subito un rilevante aggravio per le imposte da versare essendo stati confermati gli accertamenti e quindi il maggior reddito da sottoporsi a tassazione.
In conclusione, dalla decisione proposta all’attenzione dei lettori, se ne ricava la necessità di verificare con l’aiuto di professionisti del settore legale e tributario non solo i contenuti dei contratti di sponsorizzazione, ma anche l’opportunità di concluderli scegliendo con attenzione a chi collegare il proprio brand, valutando sia la probabilità di conseguire un effettivo incremento delle vendite che la massima deducibilità dal reddito delle relative somme.
Correndo il rischio di fronteggiare il fisco, che si attiva per ridurre i comportamenti elusivi attuati talvolta mediante le false sponsorizzazioni, occorrerà dimostrare l’incremento dei profitti derivante dagli esborsi per le sponsorizzazioni per poterli inserire nelle spese di pubblicità.
In sede di contenzioso una efficace difesa nei confronti del fisco deve basarsi, a parere dello scrivente, anche sul fatto innegabile che gli investimenti per le sponsorizzazioni non trovano talvolta immediato riscontro nei fatturati, ma si concretizzano a distanza di anni. Innegabili sono nel breve i vantaggi per il brand dell’azienda il cui nome circola tra gli appassionati e l’Italia è notoriamente un paese di … sportivi, non nel senso di praticanti bensì di lettori di quotidiani e pseudo-commissari tecnici.
Per quanto riguarda i vantaggi per gli sponsor, si pensi, ad esempio, nel rugby alla squadra di Treviso, che da anni viene citata con il solo nome di una famosa azienda di abbigliamento, o, nel basket, al quintetto di Milano collegato al brand “Jeans” di un famoso stilista.
Tornando al tema principale… lunga vita allo sponsor !
Interessante commento tuttavia si spera in meglio dai giudici … ma anche loro devono aiutare il fisco a fare cassa come ha deciso il governo Monti ? Non bastava l’IMU anche per la prima casa ?