Sudamerica, Iran, Moda e Motori: intervista a Luigi De Falco

Abbiamo intervistato Luigi De Falco, Presidente di H2biz e fondatore di questa testata, sulle ultime operazioni effettuate all’estero e sul futuro del suo Gruppo.

luigi de falco

Partiamo dalla struttura del Gruppo. Quanti marchi possiede H2biz ed in quali settori?
Ad oggi sette: H2biz (Business Network e Trading), H2biz Aerospace (Aerospazio), FashionBiz (Moda), Outsider News (Editoria), MotorSponsor (Motori), NewsFood (Agroalimentare), EurAmerica (Logistica e Commercio Internazionale).

La geografia ha sempre rivestito un ruolo fondamentale nella crescita del Gruppo H2biz. In quanti paesi siete operativi e quali sono le vostre aree strategiche?
La geografia sembrava una materia sepolta ed invece gli eventi internazionali degli ultimi anni ne hanno dimostrato l’importanza. Ormai nessuna azienda può fare a meno di una strategia di crescita geografica e noi abbiamo fatto una scelta precisa: abbiamo investito nelle aree ad alto tasso di rischio, in Nord Africa nel 2011 nel pieno delle primavere arabe, in Nicaragua, in Honduras, in Iran nel pieno della crisi diplomatica con l’Occidente per la querelle sull’atomica. Aree rischiose, ma proprio per questo potenzialmente molto redditive. Alla lunga l’azzardo è stato premiante, siamo riusciti ad entrare in mercati ad alto tasso di crescita acquisendo vantaggio sui nostri concorrenti. Ad oggi siamo operativi in 36 paesi direttamente e in 54 indirettamente attraverso i nostri partner. Abbiamo 6 sedi (Napoli, Parigi, New York, Budva, Tangeri e Addis Abeba), ognuna delle quali sovraintende ad un’area geografica. Le aree strategiche sono il Mediterraneo, il Medio Oriente e il Latino America.

Parliamo del Latino America. Lei ha acquistato piantagioni di zucchero in Brasile e di caffè in Honduras. Come si inseriscono questi investimenti nella strategia del Gruppo H2biz?
Gli investimenti non sono stati effettuati direttamente da H2biz, ma dalla Holding Made in Italy sotto il cui cappello abbiamo fatto confluire tutte le nostre attività nei comparti fashion, agrolimentare e motori. Da anni H2biz si è specializzata nell’internazionalizzazione delle pmi italiane e quindi le operazioni in Latino America rientrano in questa strategia. Il nostro obiettivo è creare una filiera del Made in Italy agroalimentare, una filiera innovativa che punta sul processo e non sul prodotto e che sia in grado di garantire agli operatori esteri gli stessi standard qualitativi di quelli italiani. E’ un modo per rovesciare il concetto di Made in Italy esportando il processo e non il prodotto come fanno tutti.

Da poco avete lanciato sul mercato la Rete di impresa Italia-Iran. Ci spiega cos’è e come è nata?
E’ una rete di impresa nata per posizionarsi sul mercato iraniano prima che finisca l’embargo. L’obiettivo della rete è consentire agli imprenditori italiani di vendere i propri prodotti e servizi alle imprese iraniane e costruire dei canali commerciali di lungo termine. Ci stavamo lavorando da due anni,  abbiamo aspettato il momento giusto per lanciarla. Momento che è arrivato quando l’Iran ha firmato il primo protocollo di intesa sul nucleare. A quel punto era chiaro che l’embargo aveva i giorni contati e noi eravamo pronti per portare la Rete sul mercato. L’operazione con l’Iran è stata un successo a cui hanno contribuito in maniera determinante i nostri partner, da soli non saremo mai riusciti a farcela.

Quindi anche l’Iran è stato un azzardo?
Non direi. Non bisogna dimenticare che l’Iran è un paese con 80 milioni di abitanti, posto al centro del Golfo Persico e con grosse riserve di idrocarburi. Un mercato talmente interessante che sarebbe stato un azzardo non provarci.

Passiamo alla Moda. Da diversi anni FashionBiz, il vostro aggregatore di giovani talenti, sfila a Parigi e Milano. Perchè avete fatto un aggregatore e non un brand di moda? 
Sarebbe stato banale, sopratutto in Italia, fare l’ennesimo brand che produceva moda, il mercato è saturo da anni. Abbiamo, invece, trovato un vuoto sui giovani stilisti, nessuno se ne occupava in modo strutturale. Abbiamo cercato di inserirci in quel vuoto a modo nostro e con la consapevolezza di essere gli ultimi arrivati.

Quante sfilate avete fatto fino ad oggi?
Quattro a Parigi e tre a Milano, sempre al di fuori del circus della Moda. Le nostre sono sfilate per operatori del settore. Facciamo sfilare i giovani davanti ad una platea di stilisti affermati e buyer. L’obiettivo è quello che qualche maison li assuma come designer o che qualche buyer compri le lori collezioni.

Parliamo di editoria, un campo a noi molto caro. Nel 2011 ha lanciato Outsider News. Quanto è stato difficile inserirsi nel mondo dell’editoria e quali sono le prospettive di sviluppo della testata?
E’ stato difficile, ma allo stesso tempo avvincente. Outsider News è stata una sfida al mercato editoriale, una testata di approfondimento in un mondo di testate di news in tempo reale. Una sfida che, a distanza di anni, posso dire che abbiamo vinto, nonostante le resistenze e le diffidenze che abbiamo incontrato. Ancora oggi Outsider News è guardata con un certo sospetto dagli altri operatori del settore, come un corpo estraneo e le confesso che questo non mi dispiace per nulla. Per noi quello che conta è la soddisfazione dei lettori e da questo punto di vista i numeri sono dalla nostra parte. Solo nell’ultimo abbiamo avuto un’incremento del 270% di audience. Abbiamo una redazione di altissima qualità, circa 90 professionisti, tutti esperti di uno specifico settore e alcune “penne illustri” che scrivono per noi.  Stiamo lavorando per internazionalizzare la testata, abbiamo già sottoscritto alcuni accordi di partnership con operatori esteri, e per allargare il numero dei canali e creare delle rubriche tematiche, mantenendo sempre fermo il concetto di approfondimento che è la chiave del successo di Outsider News. Non avendo l’ansia delle news in tempo reale possiamo permetterci il lusso di concentrarci sulla qualità del contenuto.

Lei non è mai intervenuto sulla linea editoriale di Outsider News. E’ una scelta precisa o solo mancanza di tempo?
E’ una scelta, io intendo l’editoria come un servizio al pubblico. L’indipendenza dei giornalisti e la loro libertà d’azione è condizione essenziale per rendere un servizio di qualità. Se fossi intervenuto sulla linea editoriale, non solo avrei minato l’indipendenza della testata ma avrei anche compromesso la qualità dei contenuti.

Capitolo Motori. Il brand Motorsponsor opera da tempo nella gestione delle sponsorizzazioni dei piloti da corsa. Come si muove il mercato del motorsport?
Direi molto male. C’è stato un crollo verticale dal 2010, in seguito alla crisi gli sponsor hanno ridotto, se non addirittura annullato, gli investimenti sul motorsport. E’ ovvio che in tempo di crisi i primi investimenti da tagliare siano quelli non strategici. Il settore sta ancora cercando un modello di business sostenibile. Noi come MotorSponsor ci siamo concentrati su grosse manifestazioni internazionali e su pochi piloti di alto calibro, soprattutto stranieri, e abbiamo spostato il baricentro verso le corse di motonautica che per loro stessa natura risentono meno della crisi. Comunque, il volume d’affari è crollato del 50/60%.

Il crollo del business del motorsport è il motivo per cui ha deciso di costruire una supercar?
In un certo senso si, anche se è un’operazione completamente diversa, una cosa è gestire le sponsorizzazioni dei piloti e una cosa è costruire un’autovettura. Stavo cercando un modo per recuperare i margini persi dal motorsport e ad un certo punto mi sono reso conto che avevamo le relazioni e le competenze per costruire una supercar. La passione ha fatto il resto, ho chiamato il mio amico Stefano Ricevuti, che ha un passato da pilota di moto e un presente da imprenditore di successo, ne abbiamo parlato e dopo tre minuti eravamo già d’accordo.

Si dice che sarà un’auto estrema, con prestazioni eccezionali. Può confermarcelo?
Si, sarà un’auto estrema. Stiamo lavorando sul concetto di leggerezza con un mix di materiali compositi di derivazione aeronautica. Abbiamo già quindici partner che lavorano al progetto.

Con quale marchio la porterete sul mercato?
Abbiamo un marchio creato ad hoc, ma stiamo anche valutando l’acquisto di qualche storico brand italiano caduto in disuso. Ci piacerebbe recuperare un brand dalla grande tradizione automobilistica italiana. Abbiamo delle trattative in corso, per adesso non posso dirle nulla di più.

Parliamo di logistica. Avete investito nella portualità in Montenegro e nella logistica integrata nel Corno d’Africa. Quanto è importante la logistica per il Gruppo H2biz?
Direi che di tutti i business che gestiamo è il più importante di tutti. La logistica è un meta-settore, tutti devono passare in un modo o nell’altro per la logistica. Controllare la logistica significa controllare i movimenti delle merci, quindi le rotte e quindi il mercato. La scelta del Corno d’Africa non è casuale, da li passano e passeranno molte rotte commerciali. Stiamo lavorando anche in Medio Oriente e in Sudamerica per creare un network integrato.

Ultima domanda: lei è l’unico italiano che gestisce un business network con proiezioni internazionali. E’ complicato fare questo mestiere stando in Italia?
Meno di quello che potrebbe sembrare. La posizione geografica dell’Italia al centro del Mediterraneo è un vantaggio per il modello di business di H2biz. Sicuramente non abbiamo intorno un’ambiente ideale, non c’è un sistema paese che ci supporta, ma questo vale per tutti e a me non piace lamentarmi. Non ho mai pensato di spostare l’attività all’estero, la vera sfida è vincere nel mondo cercando di massimizzare quello che l’Italia può offrire in termini di eccellenze. E di eccellenze l’Italia può vantarne tante. In assoluto gestire un network è un mestiere difficile perchè bisogna tenere tutto in equilibrio, ma mi consente di avere una visione di insieme e di sviluppare delle relazioni che diversamente non sarei mai riuscito a costruire.

Informazioni su Marco Blaset 155 Articoli
Giornalista economico della Federazione Svizzera e Direttore di Outsider News.

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