Tony Drago, a 6 anni dalla morte ancora in attesa di giustizia

Il 23 giugno Tony Drago avrebbe compiuto 31 anni. Avrebbe. Se solo una notte, quella tra il 5 e il 6 luglio del 2014, non fosse stato barbaramente assassinato all’interno della caserma “Sabatini” di Roma.

Tony era un militare, ma soprattutto un ragazzo intelligente, animato da un grande ideale di giustizia. I suoi miti erano Falcone e Borsellino e per seguire il loro esempio Tony aveva deciso di studiare, laureandosi in Scienze dell’Investigazione.

Lui, siracusano, siciliano, voleva combattere la mafia entrando in un corpo di polizia. Così, oltre alla laurea, aveva scelto di fare un periodo di addestramento nell’esercito e nel frattempo tentare il concorso. Per questo, a giugno del 2013, era entrato in uno dei reparti più prestigiosi, quello dei Lancieri di Montebello, quello dei picchetti d’onore al Quirinale e nelle occasioni di visita dei capi di Stato. Addestramento e intanto studio per quel concorso che Tony, alla fine, ha provato e non ha superato per un soffio. Senza per questo arrendersi. Non si era demoralizzato e voleva riprovarci subito. Ma non ha fatto in tempo. Il suo corpo è stato ritrovato alle 6.57 del mattino, nel cortile della palazzina alloggi della caserma, riverso sul selciato con le infradito ai piedi.

“Suicidio”, si affretteranno a scrivere già nel rapporto del 118. “Suicidio per amore”, diranno poche ore dopo i responsabili della caserma. Bugie. Che fanno il paio con i depistaggi e le incongruenze, la mancata indicazione dell’ora del decesso nell’autopsia, gli “errori” nelle indagini, affidate ai Granatieri di Sardegna, carabinieri che dunque fanno parte dell’esercito, lo stesso sul quale avrebbero dovuto indagare. Tony, per tutti coloro i quali avrebbero dovuto accertare i fatti, si è ucciso. Doveva essere necessariamente quella l’unica verità. Una verità inventata e costruita ad arte. Lo dimostrano molte cose inquietanti. Come il computer di Tony consegnato ai familiari dopo molto tempo e completamente ripulito. O la doppia violazione della sua casella di posta elettronica il pomeriggio stesso della morte. E ancora, la mancata acquisizione delle immagini delle telecamere di sorveglianza, le mancate intercettazioni delle utenze di commilitoni e responsabili della caserma. Oppure il ritardo con il quale sono stati forniti i risultati dell’autopsia e le foto del ritrovamento. Foto che, insieme alle ferite sul corpo di Tony, incompatibili con una precipitazione e compatibili invece con delle ferite da violento “colpo contundente”, dimostrano inequivocabilmente che il giovane è stato ucciso. Con una barbarie inaudita. Colpito con un oggetto che ha provocato più di un foro sulla parte superiore del cranio.

Come hanno sostenuto i periti nominati dalla Procura di Roma, in una udienza del 15 marzo 2017, emerge “in maniera ancora più chiara l’incompatibilità dell’evento con la precipitazione, ipotizzando che il Drago fosse stato dapprima colpito alla schiena, poi al capo con un oggetto piatto e largo: riferivano anche di un enfisema polmonare dovuto ad una sorta di asfissia precedente al decesso, incompatibile con il suicidio e con la natura istantanea del decesso che dal suicidio sarebbe derivato”. Sul corpo di Tony risultano inoltre alcune lacerazioni profonde che ne hanno scarnificato una porzione della schiena. Insomma, un omicidio efferato dai risvolti misteriosi. Omicidio, senza ombra di dubbio, perché anche da un punto di vista fisico-cinematico non potrebbe trattarsi di suicidio, dal momento che la distanza del corpo di Tony (4,8 metri) rispetto al luogo di presunta precipitazione (posto ad una altezza di 10 metri) è irraggiungibile, come dimostrato dai periti di parte, a meno che nel saltare non ci si tramuti in un ghepardo.

Drago insomma è stato assassinato. Da chi e perché? Cosa aveva scoperto Tony? Cosa aveva visto dentro quella caserma? Perché un generale in pensione, amico un tempo della famiglia e al quale Tony, visibilmente preoccupato, aveva raccontato il suo malessere, si è rifiutato di dire quello che sapeva, suggerendo alla mamma di Drago di lasciare perdere perché “con l’esercito non la spunti”? Prima della morte Tony era inquieto, aveva parlato di clima pesante, un mese e mezzo prima aveva subito una aggressione, mentre dormiva, da alcuni commilitoni. Aveva dichiarato che voleva denunciarli. Non ha fatto in tempo.

La cosa peggiore è che su questa vicenda gravissima la giustizia ha fallito. Nonostante è stato dimostrato che il giovane sia stato ucciso, nell’aprile del 2019 il gip di Roma, Angela Gerardi, ha disposto l’archiviazione del caso, accogliendo la richiesta del pubblico ministero, Alberto Galanti. Un pm, quest’ultimo, che in quattro anni di indagini ha suscitato parecchie perplessità, sembrando da subito orientato più a chiudere il caso che ad accertare la verità sul destino di Tony. Un atteggiamento difficilmente comprensibile quello del pm Galanti, con richieste di archiviazione premature, mancata considerazione dei gravi elementi a sostegno della tesi dell’omicidio emersi dalle perizie medico-scientifiche, e ritardi inspiegabili: un atteggiamento che, nel luglio 2017, aveva portato uno dei legali della famiglia Drago, l’avvocato Dario Riccioli, a chiedere al Procuratore Generale presso la Procura di Roma l’avocazione delle indagini. Nulla di fatto. Archiviazione per impossibilità di fare luce sulle tante zone d’ombra della vicenda, che restano “non investigate e, oramai, di difficile accertamento, stante il tempo trascorso dai fatti”.

Una decisione che suona molto simile a quella che, nel 2000, venne presa dalla procura di Pisa sul caso di Emanuele Scieri, altro militare siracusano, ucciso all’interno della caserma “Gamerra” di Pisa, sede dei parà della Folgore. Per quella vicenda, dopo una battaglia lunga 21 anni, con proteste, interrogazioni parlamentari e la nascita di una decisiva commissione di inchiesta che ha permesso la riapertura delle indagini, oggi ci sono cinque persone alle quali la procura di Pisa ha appena notificato l’avviso di chiusura delle indagini. Tre di queste sono già state rinviate a giudizio dalla procura militare di Roma, con l’accusa di omicidio pluriaggravato in concorso. Per Drago, invece, al momento solo la rabbia per una giustizia che non ha saputo rimediare ai depistaggi di chi voleva nascondere la verità.

La mamma di Tony, Rosaria, ad agosto scorso si è rivolta alla Cedu (Corte europea dei diritti umani). “Abbiamo depositato il ricorso che la Cedu dovrebbe accogliere – afferma il legale della madre di Tony, avv. Dario Riccioli -. Siamo in attesa della fissazione dell’udienza. Per il resto nessuna novità“. Intanto, l’unica speranza è che qualcuno si decida a parlare, che chi sa qualcosa lo dica, si metta una mano sulla coscienza e restituisca la verità a una famiglia che chiede solo giustizia, chiede di sapere per mano di chi e perché un ragazzo di 25 anni dagli ideali così puri è stato ucciso.

Informazioni su Massimiliano Perna 14 Articoli
Massimiliano Perna è autore e giornalista freelance. Siracusano, risiede in Sicilia dopo aver vissuto per molti anni a Milano, si occupa di diritti umani, temi sociali, legalità e ambiente. Ha pubblicato inchieste con diverse testate, tra cui Repubblica, Avvenire, l’Unità, Micromega.net, Liberainformazione, Terre di Mezzo, Altreconomia, L’Isola Possibile, Left, I Siciliani. Ha collaborato con RadioRai1 e Radio Popolare e, per una puntata, ha collaborato con la trasmissione di LA7, Propaganda Live. A febbraio 2019 ha ricevuto una menzione speciale al Premio Nazionale “Giuseppe Fava” Giovani. Ha all'attivo numerose pubblicazioni, tra saggi e antologie, e dirige il sito web di approfondimento e dibattito, www.ilmegafono.org, che ha fondato nel 2006. "57 Quarto Oggiaro" è il suo primo documentario.