VIP fotografato e pubblicazione senza consenso. Quale tutela della riservatezza per i personaggi pubblici?

La vicenda giudiziaria vede come protagonista un noto attore che anni fa si era rivolto al Tribunale di Milano per ottenere il risarcimento dei danni subiti in quanto una rivista italiana a diffusione nazionale aveva pubblicato, suddiviso in due numeri, un reportage fotografico che lo ritraeva, senza il suo consenso, con la sua fidanzata pro-tempore in atteggiamenti intimi nel parco della sua villa (la foto è di repertorio e non rappresenta il soggetto coinvolto).

Il giudice meneghino condannava il direttore della rivista e la società editrice al pagamento di una somma a titolo di danno patrimoniale, determinata in via equitativa avendo a riferimento il compenso che presumibilmente sarebbe stato richiesto per la pubblicazione del servizio fotografico nonché per il danno non patrimoniale derivante da “illecita intrusione nella sua vita privata (per il turbamento e la sofferenza psicologica).

Le domande dell’attore erano state accolte in contrasto con la tesi della difesa dei convenuti che si basava sulla tesi del legittimo esercizio del diritto di cronaca in quanto le persone ritratte dal “paparazzo” erano entrambi personaggi pubblici impegnati allora in una relazione sentimentale ritenuta di interesse per il gossip column e si trovavano in un luogo esposto al pubblico.

Secondo il Tribunale la pubblicazione, senza il consenso dell’attore, violava sia il diritto al ritratto (art. 10 del codice civile) che l’art. 96 Legge Autore, non rientrando il caso in uno di quelli giustificati ai sensi dell’art. 97 L.A. mancando il fatto di pubblico interesse considerata la volontà del personaggio, in vacanza nella sua dimora, di escludere ogni intrusione nella sua vita privata da parte di estranei.

A dire del giudice inoltre con la pubblicazione sulla rivista si configuravano gli illeciti del trattamento abusivo dei dati personali (artt. 2, 11 e 23 Codice Privacy) e il reato di interferenza illecita nella vita privata (art. 615 bis c.p., comma 2).

Il Tribunale di primo grado condannava i convenuti al pagamento di ottantamila euro per il danno patrimoniale e quarantamila euro per il danno non patrimoniale.

A seguito dell’impugnazione dei soccombenti la Corte di Appello confermava la sentenza di primo grado rilevando che le immagini erano state carpite violando la riservatezza dei personaggi, si sottolinea, “ritratti attraverso una abusiva introduzione nelle pertinenze dell’abitazione privata, tendenzialmente esclusa dalla visione dall’esterno, con prolungati appostamenti, postazioni sopraelevate e utilizzo degli interstizi nelle siepi di recinzione nonché di tecnologie avanzate”.

Secondo il giudice di appello poi era stato superato il punto di equilibrio tra il diritto di cronaca e il diritto alla riservatezza e alla protezione della propria immagine che non può negarsi neppure ai personaggi noti “quando ì dati non hanno rilievo per il loro ruolo o vita pubblica rilevando che per soddisfare l’interesse della cd. cronaca rosa  la rivista poteva riferirsi alle sole apparizioni pubbliche dell’attore con la sua compagna.

Nella fattispecie in questione poteva configurarsi il reato già citato ex art. 615-bis codice penale a carico del fotografo che aveva operato con potenti teleobiettivi e di chi poi le aveva diffuse attraverso la pubblicazione.

Tuttavia la Corte di Appello, con tesi del tutto criticabile a mio parere, riteneva non sussistere un danno patrimoniale perché l’attore aveva escluso il consenso alla pubblicazione di immagini della propria vita privata di fatto e ciò escludeva a priori ogni ritorno economico.

Quanto poi al danno non patrimoniale veniva ridotto a quarantamila euro, pur presumendosi l’esistenza di una sofferenza, un disagio e l’imbarazzo, oltre che il danno morale conseguente al reato, la lesione era durata solo alcuni giorni e il grado di intrusività non particolarmente elevato poiché, a dire della Corte, le foto lo ritraevano con la compagna mentre si aggirava nel parco della villa, “….un luogo privato, ma non intimo”, pur considerando il numero delle foto carpite e la grande diffusione della rivista, circa duecentomila copie.

Infine la controversia approdava in Cassazione e veniva decisa dalla prima sezione con la recentissima sentenza 1875 pubblicata il 23 gennaio 2019 i cui principi meritano di essere condivisi e studiati dagli addetti ai lavori giudiziari in tema di violazione della riservatezza e dai nostri clienti…. VIP.

La difesa dell’attore-ricorrente con un primo motivo contestava l’esclusione del danno patrimoniale sostenendo la sua difesa che costui avrebbe in seguito consentito alla pubblicazione di proprie immagini dietro corrispettivi milionari per cui il danno doveva essere riconosciuto e calcolato sulla base del numero delle copie della rivista vendute o al prezzo richiesto per altri servizi fotografici successivi.

Inoltre con un secondo motivo contestava che la Corte di Appello, rispetto alla gravità degli illeciti accertati dal giudice e considerato che chi pubblica senza consenso il ritratto di persona notoria è tenuto al risarcimento del danno, doveva quantificare il danno non patrimoniale  tenendo conto più che della lesione del diritto alla riservatezza, “delle cause di detta notorietà, poiché, se questa consegue ad esercizio di un’attività, nel campo dello spettacolo, cui si ricollega la consuetudine dello sfruttamento rimunerato dell’immagine, l’abusiva pubblicazione determina un danno di natura patrimoniale, comportando il venir meno per l’interessato della possibilità di offrire l’uso del proprio ritratto per pubblicità di prodotti o servizi analoghi e d’altra parte difficoltà a commercializzare al meglio la propria immagine anche con riferimento a servizi o prodotti del tutto diversi.”

In tema va ricordato il precedente di legittimità espresso nella sentenza n. 22513 del 2004 con il principio per cui “l’abusiva pubblicazione, quando comporta la perdita, da parte del titolare del diritto, della facoltà di offrire al mercato l’uso del proprio ritratto, dà luogo al corrispondente pregiudizio. Tale pregiudizio non è, poi, escluso dall’eventuale rifiuto del soggetto leso di consentire a chicchessia la pubblicazione degli specifici ritratti abusivamente utilizzati, atteso che, per un verso, detto rifiuto non può essere equiparato ad una sorta di abbandono del diritto, con conseguente caduta in pubblico dominio, in quanto nella gestione del diritto alla propria immagine ben si colloca la facoltà, protratta per il tempo ritenuto necessario, di non pubblicare determinati ritratti, senza che ciò comporti alcun effetto ablativo, e, per altro verso, la stessa gestione può comportare la scelta di non sfruttare un determinato ritratto, perché lo sfruttamento può risultare lesivo, in prospettiva, del bene protetto; con la conseguenza che lo sfruttamento abusivo del ritratto, in quanto frustrante della predetta strategia generale che solo al titolare del diritto spetta di adottare, può risultare fonte di pregiudizio – ben più grave di quello corrispondente al valore commerciale della specifica attività abusiva il cui risarcimento ben può essere effettuato in termini di perdita della reputazione professionale, ove questa sia stata allegata in giudizio, da valutarsi caso per caso dal giudice di merito nei limiti della ricchezza non conseguita dal danneggiato, ovvero anche con il ricorso al criterio di cui all’art. 1226 del codice civile (n.d.r. valutazione equitativa del danno).”

Per quanto poi concerne il quantum del danno patrimoniale va ricordato il precedente Cassazione n. 12433/2008 secondo cui “L’illecita pubblicazione dell’immagine altrui obbliga al risarcimento anche dei danni patrimoniali, che consistono nel pregiudizio economico di cui la persona danneggiata abbia risentito per effetto della predetta pubblicazione e di cui abbia fornito la prova…. qualora non possano essere dimostrate specifiche voci di danno patrimoniale, la parte lesa può far valere il diritto al pagamento di una somma corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente richiesto per concedere il suo consenso alla pubblicazione, determinandosi tale importo in via equitativa, avuto riguardo al vantaggio economico conseguito dall’autore dell’illecita pubblicazione e ad ogni altra circostanza congruente con lo scopo della liquidazione”.

Va sottolineato che se il titolare del bene non vuole concedere lo sfruttamento della riproduzione fotografica dei propri dati personali ad altri ciò non comporta l’inesistenza di un danno patrimoniale liquidabile e “qualora non possano essere dimostrate specifiche voci di esso, la parte lesa, se non può far valere il diritto al pagamento di una somma corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente richiesto per concedere il suo consenso alla pubblicazione, può comunque chiedere una determinazione di tale importo in via equitativa, avuto riguardo al vantaggio economico conseguito dall’autore dell’illecita pubblicazione e a ogni altra circostanza congruente con lo scopo della liquidazione”.

In conclusione il ricorso dell’attore è stato accolto quanto al primo motivo, respinto il secondo motivo rimanendo immutato il quantum risarcitorio del danno morale come ridotto, e la sentenza cassata con rinvio della causa per il riesame alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione che ora dovrà esprimersi tendo conto di due principi: 1) in tema di danno patrimoniale, conseguente a plurime violazioni di legge relative alla pubblicazione di foto della propria vita privata, quand’anche relative ad un soggetto molto conosciuto, dall’eventuale rifiuto del soggetto leso di consentire a chicchessia la pubblicazione delle immagini abusivamente utilizzate, non discende affatto l’abbandono del diritto, con la conseguente sua caduta in pubblico dominio, in quanto nella gestione del diritto alla propria immagine ben si colloca la facoltà, che si può protrarre per il tempo ritenuto necessario, di non pubblicare determinate fotografie, senza che ciò comporti alcun effetto ablativo e, per altro verso, la stessa gestione del diritto assoluto può comportare la scelta di non sfruttare economicamente i propri dati personali, perché lo sfruttamento può risultare lesivo, in prospettiva, del bene protetto;


2) nei casi in cui il titolare del bene protetto non intenda concedere lo sfruttamento della riproduzione fotografica dei propri dati personali ad altri, non può essere escluso un danno patrimoniale, atteso che anche qualora non possano essere dimostrate specifiche voci di danno patrimonialmente valutabile, la parte lesa, se non può far valere il diritto al pagamento di una somma corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente domandato per concedere il suo consenso alla pubblicazione (che non cade in pubblico dominio), può comunque chiedere una determinazione di tale importo in via equitativa, avuto riguardo alla consistenza del vantaggio economico conseguito dall’autore dell’illecita pubblicazione e ad ogni altra circostanza congruente con lo scopo della liquidazione.

Luigi De Valeri
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Luigi De Valeri, nato a Roma nel 1965, ha conseguito nel 1994 il titolo di procuratore legale. Iscritto all’Albo degli Avvocati del Consiglio dell’Ordine di Roma, titolare dello Studio Legale De Valeri attivo nei settori del diritto civile, lavoro e sicurezza sul lavoro, assicurazioni e responsabilità professionale, immobiliare, diritto societario e start-up, diritto di internet e privacy, diritto dell'Arte, diritto amministrativo e diritto penale. Consulente giuridico di EBAFoS, ente bilaterale dell'artigianato per la formazione e la sicurezza sul lavoro, FIRAS-SPP federazione italiana responsabili addetti servizi prevenzione e protezione, Prison Fellowship Italia Onlus.

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