La Russia non è soltanto al centro di uno scontro politico-istituzionale tra il Congresso e la Casa Bianca, ma rischia di diventare motivo di forti divergenze tra le due sponde dell’ Atlantico.
Il nuovo regime sanzionatorio proposto dal Senato, infatti, estende e inasprisce l’azione americana nei confronti del settore energetico russo. Ma a farne le spese, oltre a Mosca, potrebbe essere anche la sicurezza energetica europea, a testimonianza di un progressivo disallineamento delle priorità strategiche di Bruxelles e Washington in campo energetico (e climatico).
La lotta tra il Congresso e la Casa Bianca
Lo scorso 27 luglio il Senato americano ha deciso di incalzare il Presidente Donald Trump approvando un progetto di legge che pone nelle mani del Congresso il potere di contrastare atteggiamenti aggressivi di stati terzi, tra cui la Russia. L’atto – introdotto da un’alleanza bipartisan – ha l’obiettivo di scongiurare qualsiasi tipo di ravvicinamento tra la Casa Bianca e il Cremlino, accentrando nelle mani dell’organo legislativo il potere imporre sanzioni alla Russia e, di fatto, limitando il ruolo del Presidente (che, comunque, può sempre porre il proprio veto sul testo), considerato troppo morbido nelle sue relazioni con Mosca.
La nuova legge prevede ulteriori e più pesanti sanzioni per la Federazione Russa nei settori dell’intelligence e della difesa, dell’energia e, più in generale, nei confronti di iniziative di privatizzazione di asset pubblici russi. Per quanto riguarda l’ambito energetico, l’estensione delle sanzioni ha come target principale le pipeline per l’esportazione di risorse energetiche dalla Russia. Il Congresso mira infatti a colpire tutte quelle aziende che forniscono tecnologia, servizi, investimenti o qualsiasi altro tipo di supporto a questi progetti. La nuova misura, in grado di danneggiare significativamente la politica energetica di Mosca, si aggiunge a quelle già in vigore – e decisamente meno invasive – nei confronti delle attività russe nel settore petrolifero non convenzionale e nell’Artico.
Non solo contro il Nord Stream 2
Se approvato, l’atto avrà chiare implicazioni anche per le relazioni energetiche tra Mosca e i suoi partner europei. Ovviamente, gran parte dell’attenzione pubblica si è focalizzata sull’impatto delle sanzioni americane sul futuro di Nord Stream 2, il gasdotto progettato da Mosca per eludere completamente (o quasi), dopo il 2019, il transito attraverso il territorio ucraino per il gas naturale russo destinato ai mercati europei. Le compagnie energetiche europee Engie, OMV, Shell, Uniper and Wintershall, sebbene abbiano deciso di non prendere parte all’azionariato del progetto, si sono comunque impegnate a garantire un finanziamento di lungo periodo al progetto, per una cifra di circa 950 milioni di euro ciascuno: nel contesto del nuovo regime sanzionatorio proposto dal Congresso, le cinque aziende finirebbero nella black list di Washington.
Ma il Nord Stream 2, già pomo della discordia energetica in Europa, non sarebbe l’unico progetto messo a rischio dall’iniziativa americana. A esso, infatti, si deve aggiungere TurkStream, gasdotto offshore promosso da Gazprom con l’obiettivo di trasportare gas russo direttamente sul territorio turco attraverso il Mar Nero (e potenzialmente all’Europa sud-orientale) e, soprattutto, una serie di progetti considerati ”minori’ ma con una rilevanza non trascurabile per la sicurezza energetica europea.
Tra questi, c’è la CPC pipeline che trasporta petrolio dal Caspio al Mar Nero (e da esso ai mercati europei), ma soprattutto la sezione ucraina del gasdotto Brotherhood, di proprietà di Gazprom e UkTransGaz: la condotta richiede significativi interventi di manutenzione e ammodernamento, che potrebbero tuttavia essere messi a rischio dalle nuove sanzioni americane.
Stati Uniti-Europa: ci eravamo tanto amati?
Rimane poi da valutare l’impatto delle sanzioni su progetti strategici per l’Europa in cui sono coinvolte aziende russe, tra cui la South Caucasus Pipeline (parte integrante del Corridoio Sud, alla quale partecipa la russa Lukoil) e il giacimento egiziano di Zohr, di cui Rosneft è proprietario di minoranza insieme a Eni. Il caso delle sanzioni al settore energetico russo sono l’ennesimo caso di divergenza strategica tra gli Stati Uniti di Trump e i partner europei. Dopo l’esito fallimentare (e la dichiarazione “disgiunta‘) del G7 Energia, dopo l’annuncio dell’uscita di Washington dal Trattato di Parigi – che ha portato a un’esplicita alzata di scudi a Bruxelles e nelle principali capitali europee – le proteste sulla sponda orientale dell’Atlantico non si sono fatte attendere. A prescindere dal giudizio di valore sul progetto Nord Stream 2 (il quale, più che accrescere il controllo di Gazprom sul mercato europeo del gas, creerebbe una pericolosa condizione di monopolio sul transito del gas russo in Europa nelle mani della Germania), ciò che preoccupa dell’atteggiamento americano è la totale unilateralità dell’iniziativa.
La mossa del Congresso, infatti, non prende minimamente in considerazione le condizioni strutturali del settore energetico europeo e l’innegabile interdipendenza con Mosca, che volenti o nolenti, è destinata a durare. Anzi, pone l’Europa tra due fuochi, nella difficile situazione di dover gestire la propria partnership energetica con la Russia senza incrinare i rapporti strategici che la legano agli Stati Uniti. E viceversa.
Un disallineamento energetico che non convince
In passato, la politica estera di Washington si è dimostrata attenta e funzionale alle necessità europee in materia di sicurezza energetica. Le iniziative volte all’apertura di nuove rotte commerciali dal Mar Caspio, all’inclusione della Turchia nell’architettura energetica regionale, e non ultimo alla creazione di meccanismi cooperativi del Mediterraneo orientale ne sono piena testimonianza. Portare l’Europa a uno scontro frontale con la Russia su questi temi, sui quali Bruxelles e Mosca negli ultimi anni hanno imparato a muoversi con grande cautela e circospezione, rappresenta un chiaro segnale di disallineamento energetico tra le due sponde dell’Atlantico.
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