Leggendo la normativa varata di recente dal governo Gentiloni sul whistleblowing si potrebbe pensare che lo Stato pur di porre un freno alla corruzione o altri reati favorisca le delazioni facilitando regolamenti di conti interni agli enti pubblici e alle imprese fornitrici delle pubbliche amministrazioni?
In realtà la normativa in questione che interviene dopo la legge Severino è stata ben congegnata e non lascia adito a questo timore.
Dal 29 dicembre 2017 è in vigore la legge 30 novembre 2017, n. 179 in materia di whistleblowing che prevede “ disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarita’ di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato”.
Il whistleblower, in inglese letteralmente “colui che soffia nel fischietto”, è il dipendente pubblico o privato che denuncia episodi di corruzione e irregolarità al responsabile della prevenzione della corruzione istituito dalla Legge 190 del 2012, alla magistratura o all’Autorità nazionale Anticorruzione (ANAC).
Chi denuncia non potrà essere oggetto di sanzioni da parte del datore di lavoro sia esso pubblico che privato.
In particolare l’art. 1 prevede che il dipendente segnalante l’illecito non potrà essere demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altre misure organizzative aventi effetti negativi sulle condizioni di lavoro.
Il dipendente che sia stato licenziato a causa della sua segnalazione verrà reintegrato nel posto di lavoro.
Ogni azione discriminatoria a danno del whistleblower provocherà per l’ente responsabile una pena pecuniaria fino a trentamila euro. La sanzione può arrivare a cinquantamila euro se, dopo la segnalazione di irregolarità, l’ente interessato dal fatto corruttivo non si attivi con le verifiche opportune o non rispetti le procedure previste dall’ANAC.
A chi si applica la normativa sul whistleblowing?
Le disposizioni della Legge 179 si applicheranno a tutte le amministrazioni pubbliche, gli enti pubblici economici e quelli di diritto privato sotto controllo pubblico.
Inoltre è bene ricordare che la normativa varata dal governo Gentiloni interessa anche le imprese che forniscono beni e servizi alle Pubbliche Amministrazioni.
La legge include anche il settore privato per l’applicazione della tutela del dipendente o collaboratore che segnali illeciti o violazioni relative al modello di organizzazione e gestione dell’ente di cui sia venuto a conoscenza per ragioni del suo ufficio.
Gli atti discriminatori o ritorsivi, prevede l’art. 2, potranno essere dichiarati nulli in un eventuale giudizio e sarà onere del datore di lavoro pubblico o privato provare che tali misure adottate nei confronti del segnalante sono motivate da ragioni estranee alla segnalazione.
L’identità del segnalante non potrà essere rivelata e nel giudizio penale la segnalazione sarà tutelata secondo quanto prevede l’articolo 329 del codice di procedura penale che regola l’obbligo del segreto per gli atti di indagine.
La documentazione inerente la segnalazione in relazione all’accesso agli atti della Pubblica Amministrazione previsto dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni, è sottratta ad ogni richiesta.
L’ANAC, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, elaborerà linee guida sulle procedure di presentazione e gestione delle segnalazioni promuovendo anche strumenti di crittografia quanto al contenuto della denuncia e alla relativa documentazione per garantire la riservatezza dell’identità del segnalante.
Cosa accade se la segnalazione si rivela infondata a seguito delle verifiche dell’autorità configurandosi l’ipotesi del reato di calunnia o diffamazione?
L’art. 1 prevede che il dipendente che denuncia atti discriminatori non avrà diritto alla tutela nel caso di condanna del segnalante in sede penale, anche in primo grado, per calunnia, diffamazione o altri reati commessi con la denuncia o quando sia accertata la sua responsabilità civile per dolo o colpa grave.
Infine l’articolo 3 della Legge introduce, in relazione alle ipotesi di segnalazione o denuncia effettuate nel settore pubblico o privato, come giusta causa di rivelazione del segreto d’ufficio, professionale, scientifico e industriale, nonché di violazione dell’obbligo di fedeltà all’imprenditore, il perseguimento, da parte del dipendente che segnali illeciti, dell’interesse all’integrità delle amministrazioni alla prevenzione e alla repressione delle malversazioni.
Pertanto il segreto d’ufficio, professionale, scientifico e industriale, riferendosi il legislatore espressamente agli artt. 326,622 e 623 del codice penale e all’art. 2105 del codice civile che regola l’obbligo di fedeltà, devono cedere il passo dinanzi l’interesse superiore all’integrità delle amministrazioni pubbliche e private.
Attenzione però all’eccezione che il legislatore dispone al comma 2 dell’art. 3 ovvero resta l’obbligo di segreto professionale per i professionisti esterni che vengano a conoscenza della notitia criminis nel corso di un rapporto di consulenza o di assistenza con l’ente, l’impresa o la persona fisica interessata.
Concludiamo segnalando un esempio concreto di applicazione della Legge 179 del 2017.
Il ministero dell’Interno ha previsto per il proprio personale una procedura informatica tramite intranet in grado di assicurare la tutela della riservatezza dell’identità del dipendente che effettua la segnalazione.
I soggetti esterni possono segnalare compilando e sottoscrivendo un modulo, predisposto dall’ANAC da inviarsi per raccomandata, con un documento di riconoscimento e la documentazione a corredo della segnalazione. La busta deve riportare la dicitura “riservata” ed essere indirizzata al Ministero dell’Interno – Responsabile della prevenzione della corruzione. La procedura è semplice e a prova di errore.
Sembra proprio che sul whistleblowing il Governo e il Parlamento abbiamo previsto tutte le potenziali criticità per “mettere in sicurezza” il denunciante.
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